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Le Isole ABC: Aruba, Bonaire e Curaçao

Navigazione nel Mar dei Caraibi

LE ISOLE ABC
Con questo acronimo si intendono le tre isole situate nella parte meridionale del Mar dei Caraibi, al largo della costa nord-occidentale del Venezuela.
“ABC” sono le iniziali delle isole principali del gruppo: si tratta di Aruba (A) 🇦🇼, Bonaire (B) e Curaçao (C) 🇨🇼.
Tutte e tre fanno parte del Regno dei Paesi Bassi 🇳🇱 sotto il nome ufficiale di Dutch Caribbean (Caraibi Olandesi), mentre un tempo si chiamavano Antille Olandesi.

Aruba e Curaçao sono nazioni costitutive del Regno, mentre Bonaire è una municipalità speciale dei Paesi Bassi.

CURIOSITÀ
Aruba, Bonaire e Curacao, si trovano tranquillamente lontane dalla cintura degli uragani nei Caraibi e pertanto sempre molto visitate!

Cieli sereni
PG




14 luglio 2023 – Nave Vespucci sta navigando in Oceano Atlantico di fronte alle coste del Marocco.

L’Oceano Atlantico prende il nome dal titano ATLANTE, che nella mitologia greca fu costretto da Zeus a tenere sulle spalle l’intera volta celeste per aver organizzato la rivolta, poi fallita, dei Titani contro gli dei dell’Olimpo.

Atlante era anche il re della Mauritania, appassionato studioso di astronomia.
Secondo lo storico Diodoro Siculo, il Titano fu il primo a rappresentare il mondo sferico quando tutti gli uomini credevano che la terra fosse piatta e che terminasse alle colonne d’Ercole.
Per questo nell’immaginario divenne poi il Titano che trasportava una sfera sulle proprie spalle alludendo alla sua scoperta.

CURIOSITÀ
La prima vertebra della spina dorsale si chiama Atlante proprio perché sorregge il cranio, così come il Titano sorreggeva la sfera celeste.

Nell’immagine si vede l’ Atlante Farnese conservato al Museo Archeologico di Napoli.

Cieli sereni
PG




13 luglio 2023 – “Non plus ultra” – Nave Vespucci ha attraversato lo Stretto di Gibilterra, il punto nel quale il Mar Mediterraneo incontra l’Oceano Atlantico.

Questo stretto è anche noto, simbolicamente, come Colonne d’Ercole.
Il mito vuole che sia stato il semidio Ercole a porre due Colonne ai lati dello stretto, tra i promontori di Calpe (Spagna) e di Abila (Africa).
Gli antichi Greci credevano che le Colonne fossero un limite invalicabile oltre cui non era più possibile andare, aldilà del quale il pericolo e l’ignoto avrebbero condannato ogni essere umano alla fine dei tempi. Secondo la leggenda, Ercole si sarebbe spinto proprio fino alle pendici dei monti Calpe e Abila: creò le due colonne e vi impresse sopra l’iconica incisione: “NON PLUS ULTRA”.

Le Colonne d’Ercole colpirono la fantasia e l’estro di moltissimi scrittori e artisti. Secondo Platone, aldilà delle colonne si trovava il mitico e ricco regno di Atlantide. Dante, invece, fa intravedere ad Ulisse, oltre quei confini, il monte del Purgatorio, prima di venire colpito dalla vendetta divina che fa sprofondare la sua nave.

Adesso Gibilterra è un territorio d’oltremare del Regno Unito 🇬🇧 e deve il suo nome alla corruzione del toponimo arabo Jabal Ţāriq (جبل طارق, Monte di Tariq), in omaggio a Tariq ibn Ziyad, il condottiero berbero che conquistò la Spagna nel 711.

CURIOSITÀ
La bandiera di Gibilterra riproduce lo stemma del territorio concesso dai Re Cattolici di Spagna nel 1502, con il castello che rappresenta la rocca e la chiave, che allude alla sua posizione strategica di “Porta del Mediterraneo”.

Cieli sereni 🇬🇮
PG




Parole o immagini? L’eterna tenzone!

di Christian Lezzi_

Se siano più importanti le parole, o le immagini, è un quesito che infiamma le discussioni e anima le speculazioni filosofiche, fin dalla notte dei tempi. La domanda è semplice, quasi banale nella sua linearità. Ciò che è complicato è cogitare una risposta che sia possibile argomentare, sostenere, difendere, perché sia accettabile oltre la mera elaborazione soggettiva del concetto.

Nel novero dei sistemi rappresentazionali dell’umana psiche (di cui non tratteremo in questa sede) si dice spesso che l’uomo – inteso come specie, non come genere sessuale, con buona pace del politically correct che tutto incattivisce e complica – sia prevalentemente visuale, elaborando i concetti per associazione d’immagini, prima ancora che per parole e pensieri. Vero, ma solo in parte e solo in funzione stringente del contesto e del proprio stato d’animo (a seconda quindi del metaprogramma in uso in un determinato momento, ma nemmeno di questo parleremo in questa sede). Ne consegue il detto “Un’immagine vale più di mille parole”. Un motto popolare che non spiega in funzione di cosa e secondo chi, ma soprattutto perché, ciò dovrebbe essere accettato come postulato di verità.

Con il termine metaprogramma ci si riferisce ad un filtro mentale che determina una risposta ad uno stimolo di tipo automatico e abitudinario. I metaprogrammi sono programmi dei programmi, o come direbbe Bandler sono mappe delle mappe.

Messa in questi termini, la questione sembra complicata, nella sua complessa struttura e nell’analisi di un concetto interrogativo che, proprio come la vita stessa, non è mai del tutto facile. In realtà è più semplice di quanto apparentemente appaia.

Quindi, potere alle parole o alle immagini?

Personalmente ho sempre liquidato la questione con un ragionamento che, seppur tra mille e uno tentativi di contro-argomentazione, resta in linea di massima inattaccabile, almeno a rigor di logica. Penso infatti, da sempre, che siano più importanti le parole, se davvero d’importanza vogliamo parlare, in un’ipotetica gerarchia valoriale che le vede avverse alle immagini. Laddove le parole possono far scaturire, nella nostra fantasia potenzialmente infinita, altrettanto infinite immagini, queste ultime possono, per evidenti motivi, far scaturire, a loro volta, un numero finito di parole. Perché se la fantasia è infinita, il linguaggio è finito, nel senso che ai vocaboli che lo compongono, può essere attribuita una dimensione numerica. Quindi, le parole possono essere contate, le immagini fantastiche no.

Di conseguenza, ciò che può evocare l’infinito ha, indiscutibilmente, più valore e potenza di ciò che evoca qualcosa di numericamente finito e quantificabile.

E’ proprio come quando leggiamo un libro e la scena viene dipinta dalla nostra fantasia, evocata dalla sequenza di parole lette. Al contrario, guardando il film tratto da quella stessa storia, la potenza immaginifica è di molto inferiore, nonostante la musica, le luci e gli effetti speciali. Perché è immagine, fantasia non proprietaria, imposta e non elaborata. Nulla a confronto dell’infinita nostra fantasia, quando a darle vita sono le descrizioni fatte di parole.

Gioco, set, partita!

Ma proviamo a guardare la questione da un’altra angolazione, decisamente più interessante, a rischio di andare fuori tema. Nel novero delle parole – più importanti delle immagini, come appena argomentato e dimostrato – può l’ordine, con le quali sono esse espresse, cambiare il risultato di ciò che comunichiamo?

Secondo la proprietà commutativa (una delle più usate in aritmetica) al mutare dell’ordine dei fattori, nelle addizioni e nelle moltiplicazioni, il risultato resta invariato. Ma accade lo stesso con le parole e con le immagini, che inevitabilmente esse evocano? Davvero mutando l’ordine delle parole e dei concetti espressi, il risultato resta identico?

Giorni fa leggevo un’interessante intervista rilasciata dall’artista Maurizio Cattelan (quello del dito medio in piazza degli affari a Milano) nella quale l’artista rispondeva, alla classica e un po’ banale domanda “come siamo messi a rapporti interpersonali?”, con un altrettanto banale e scontato, quasi abitudinario “pochi ma buoni”. Ed ecco che, la magia delle sfumature tra le parole prende forma, nel momento esatto in cui l’artista rigira all’intervistatore, per pura cortesia (immagino), la stessa domanda, ottenendo in risposta un ben più interessante “buoni ma pochi”.

MAURIZIO CATTELAN_ L.O.V.E._Piazza Affari_Milano_ Immagine presa dal web_tanks to MILANO TODAY

Certo, il concetto, al lettore frettoloso e superficiale appare lo stesso, perfettamente identico, soprattutto se applichiamo la proprietà commutativa, trasferendola dall’aritmetica alle parole, cambiandone quindi l’ordine, ma lasciando invariato il significato.

Ne siamo proprio sicuri? Siamo davvero certi che “pochi ma buoni” sia lo stesso identico concetto espresso dal suo opposto “buoni ma pochi”?

Probabilmente si, o forse no… ogni argomentazione è valida e gode di uguale dignità, se ci fermiamo al mero significato letterale delle parole che delineano in concetto. Ma, andiamo oltre, superiamo la superficie e tagliamo la tela (ricordando Lucio Fontana), superando il limite spaziale del supporto, in una dimensione metafisica alternativa, che conferisca un corpus nuovo al concetto espresso e che, grazie all’ordine delle parole, ne muti il significato trasmesso e percepito.


Lucio Fontana_Concetto spaziale_Attesa_1965

È una questione di assetto mentale, di punto d’osservazione, di prospettiva. 

Il risultato, distillato dal concetto espresso, muta la sua sostanza a seconda dell’attenzione, del focus direbbero oltre oceano, che poniamo alla prima o alla seconda parola, se sia il “poco” al centro della nostra attenzione, quindi prioritario espressivamente parlando, o se al centro ci finisca il “buono”, illuminato all’improvviso dalle luci della ribalta. Perché loro, le parole, dipendono dal contesto nel quale sono espresse, da esso attingono forma, sostanza, colore e peso, quel peso che, astratta la parola dal contesto, diventa non quantificabile e, spesso, irrilevante.

Definire i propri rapporti interpersonali “Pochi, ma buoni” conferisce un peso e una sostanza, una tangibilità al concetto di scarsità, relegando a quello di qualità un ruolo secondario d’illusoria consolazione. Una rassegnazione che, in forma lapidaria, chiude la questione, non avendo altro da aggiungere al concetto che, per sua stessa struttura, esclude sviluppi narrativi.

Definirli, per contro “buoni, ma pochi”, pone al contrario l’accento sulla qualità dei rapporti, definendoli buoni prima d’ogni altra accezione. Solo in seconda analisi, a titolo quasi autocritico, in un impeto di desiderio d’allargare questa cerchia relazionale, essi vengono definiti “pochi”, lasciando cadere così ogni rassegnata o consolatoria connotazione d’immobilità, per muovere l’istinto umano di socializzazione.

Perché definirsi “poveri ma felici”, per godere di un altro esempio, è un concetto lontano anni luce dal suo omologo “felici ma poveri”, apparentemente uguali, ma intimamente diversi, opposti, antagonisti.

Pirandello ha scritto: “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”.

Spesso attribuiamo troppo peso alle parole, un peso che non è proprio, o specifico, bensì relativo, dedotto dal quel contesto, all’interno del quale, la parola viene espressa, da cui attinge significato, oggettivo o soggettivo ch’esso sia. Un peso che, a livello percettivo (quasi fosse il gusto nell’assaporare quei concetti) varia a seconda dell’ordine con il quale, questi sapori, vengono inseriti nel gusto finale.

Allo stesso modo conferiamo un significato tutto nostro alle immagini, rendendole soggettive, attribuendo loro una volgarità che, senza la corretta analisi del contesto espressivo, è solo nella nostra testa. Come nel caso del dito di Cattelan, appunto. Anche un gigantesco dito medio di marmo, seppur volgare in apparenza, una volta contestualizzato, assume ben altro, alto e nobile significato. 

Ci fermiamo alla parola, o alla singola immagine, senza analizzare il quadro d’insieme e la scena nella sua interezza. Ma non degniamo d’importanza le sfumature che mutano lo scenario e donano valenza alla frase, al concetto, al pensiero e alle parole, alla potenza pittorico-espressiva che esse veicolano, tra luci e ombre, tra fantasia e realtà.

E in fatto di sfumature e dettagli, le parole ne sanno una più del diavolo e delle infinite immagini che possono evocare.


Note sull’autore_

Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano. Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.




L’acqua del lago non è mai dolce – Giulia Caminito

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Credits_Sophie Jodoin
di Sara Balzotti_

Data di pubblicazione: 13 gennaio 2021

Casa editrice: Bompiani

Genere: narrativa 

“L’acqua del lago non è mai dolce” ti assorbe e ti immerge nella storia… il romanzo richiama sensazioni ed episodi della propria infanzia e adolescenza, addolciti da una sottile malinconia e nostalgia per il tempo passato; anche se gli episodi personali non hanno niente a che vedere con quelli raccontati, l’intimità che si crea con il lettore richiama alla memoria tali emozioni.

È inevitabile tifare per i più fragili, commuoversi per le ingiustizie che colpiscono i protagonisti della storia e soffrire per l’anaffettività della famiglia della protagonista.

Si tifa per i più fragili, ci si commuove per le ingiustizie subite dai protagonisti e si soffre per la mancata accoglienza familiare verso i familiari della protagonista.

Gaia racconta in prima persona la sua storia: l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. La sua famiglia è sorretta dalla madre, Adriana. Adriana è una donna di umili origini ma di grande carattere, volitiva e battagliera per la sua famiglia; la donna non transige sul rispetto delle cose comuni e la sua lealtà nei confronti degli altri rappresenta uno dei pochi pilastri educativi offerti ai figli.

Nella famiglia di Gaia o si accettano le regole e le condizioni dettate da Adriana o si deve andare via di casa. Le condizioni economiche sono precarie e la priorità è sopravvivere, sotto tutti i punti di vista.

Nonostante le varie difficoltà, economiche e sociali, Gaia riesce a condurre una vita piuttosto tranquilla: vive al riparo della protezione della madre, seguendone i dettami e uniformandosi al suo volere senza, all’apparenza, venirne schiacciata.

Il fratello maggiore, Mariano, è il suo riferimento.

Quando il fratello però andrà via di casa, la sua mancanza sarà forte e Gaia deciderà di crescere e di affrontare da sola gli eventi che le capiteranno.

La donna che diventerà sarà decisamente diversa dalle aspettative della madre.

In una società che corre e che si evolve in fretta le mancanze, economiche e morali, della famiglia di Gaia si faranno sentire e la ragazza farà sempre più fatica a gestire le proprie emozioni, con ripercussioni a volte importanti sui rapporti sociali.

La storia è ambientata nel paese di Anguillara Sabazia e sul Lago di Bracciano. Le dinamiche popolari ricordano equilibri che forse non torneranno più; equilibri sociali che nella frenesia odierna ci siamo dimenticati e tradizioni tramandate che affascinano e commuovono sempre.

“L’acqua del lago non è mai dolce” racconta una storia cruda e coinvolgente. La scrittura di Giulia Caminito non annoia mai e durante la lettura la curiosità per come si evolveranno gli eventi cresce pagina dopo pagina!



Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/




La felicità

di Cristiana Caserta_

È forse un dono?

O un demone?

O è qualcosa che si costruisce? O si cerca?

Viene dall’interno? O dall’esterno? 

Dalla famiglia, come nella tragedia greca e nei romanzi russi? 

Qualsiasi risposta è già stata data.

“È un momento” mi disse una volta un amico, nelle acque limpide di Lampedusa, forse per vanto erudito citando un qualche autore di quelli che fanno colpo su una fanciulla che nuota da sola. Tipo Sartre, o qualcosa di simile. Me lo ricordo bene. Fra i ricordi sfocati di un viaggio di maturità, quelli che si facevano un tempo, a luglio inoltrato, con poche lire in tasca.

Arrivavi in un’isola, bianca bianca e con in testa ancora i versi a memoria di qualche tragedia – eit ofel’ Argùs me diaptastai skafos – e subito era scottatura e ubriacatura e amori di una sera.

Un momento, vorrei dirgli decenni dopo, è quello in cui cerchi di afferrarla per fissarla da qualche parte, per ricordartene, per dire agli amici: “ecco, ero felice”, per rispondere alla domanda che crediamo sempre ci venga fatta: “sei felice?”.

Sì: ho le prove! La luce era perfetta, l’acqua era limpida, ci sentivamo fatti l’uno per l’altra, toccarsi era bello e difficile – troppo ustionati! – ma quindi sì: felice!

Ma il fatto è che la luce poi cambia, e insomma non era poi così perfetto, e infatti ognuno ha nuotato per conto suo. 

Non devi cercare di afferrarla: è fragile la felicità! Si accorge se vuoi stringerla e si squaglia prima che tu possa dire: “eccoti!

L’ansia della felicità è infelicità pura. 

L’infelicità invece si lascia fermare volentieri. Gli infelici sono a loro modo felici: perché la loro infelicità è ben solida, personale, intima. È una compagna che non tradisce, che non si allontana, che si fa afferrare, richiede attenzione esclusiva, è gelosa! L’infelice fugge con cura ogni possibilità di felicità: evita di ricevere regali, di portare a termine progetti, di mostrare il lato migliore di sé, evita l’affetto degli altri e il loro aiuto. Tutto ciò lo (la) priverebbe del piacere di essere infelici, dell’autoerotismo dell’infelicità, della ruminazione ansiosa in cui gli altri sono nemici perché felici. 

Vivere accanto a un infelice cronico è l’inferno in terra. 

Sebbene l’infelice sembri amare la solitudine, in realtà odia la solitudine altrui, odia chi non cerca la sua compagnia anzi, chi non ha bisogno della sua compagnia. Il bisogno è nemico della felicità. È quindi illusoria e falsa l’autosufficienza dell’infelice: egli (ella) ha bisogno dell’attenzione altrui, delle energie psichiche, della gioia, dell’entusiasmo che pure critica.

Molto di più dell’esibizione di falsa felicità – quella dei social, delle celebrazioni chiassose, dei selfie sorridenti, del successo esibito – io temo la retorica della non esibizione, l’ostentazione del privato, dell’autosufficienza rancorosa, del compiacimento di gusti elitari e raffinati che ammantano di fascino lo squallido e il disadorno. 

La tragedia greca è – ovviamente – piena di personaggi infelici. Soprattutto donne. Fra le più infelici c’è Antigone. Sappiamo bene che Antigone è un’eroina: vuole a tutti costi seppellire il fratello Polinice e per farlo non esita a scontrarsi con le leggi e con il perfido tiranno Creonte. È inflessibile e rigida, ma lo spettatore è dalla sua parte perché la sua inflessibilità è migliore di quella – opposta – di Creonte. Ne ammiriamo il coraggio e la determinazione: faccia a faccia col tiranno afferma che il morire non le causa nessun dolore e anzi vuole affrettare la Morte. Ma, quando appare per l’ultima volta sulla scena, già condannata, si esprime in modo ben diverso: chiede di essere guardata mentre va a morire, si dispera per non avere conosciuto l’amore coniugale e perché non sarà pianta da nessuno, lamenta l’infelicità sua e della sua famiglia tutta, si autocommisera, non è più sicura che gli dei siano dalla sua parte. Il Coro si dissocia da lei: l’infelicità necrofila che ha coltivato per tutta la tragedia appare ora in tutta la sua inutilità. Nessun riscatto è possibile.  Neanche quello eroico. La sua vita le si rivela arida, povera, solitaria, senza eros, ora che è venuta a cadere la spinta antagonista e ribelle. Coerenza e assenza di conflitto – Antigone è stata incredibilmente sicura di fare bene e che nient’altro esistesse, non l’amore per la sorella né per il fidanzato, oltre al suo dovere di pietà – si rivelano scelte pietrificanti e raggelanti. La morte di Antigone non è ‘bella’ né eroica, ma solitaria e patetica. 

Questa tragedia, così amata, ci mostra che le opposte richieste dei due personaggi, così rigide, non possono essere armonizzate in modo da rendere giustizia ad entrambe: ogni scelta implica il rifiuto di qualcosa, ogni valore si afferma in modo totalizzante e senza appello; per evitare il conflitto e il dolore conseguente, per vivere in modo coerente, Antigone si condanna all’infelicità totale, all’insensibilità, alla solitudine vera.

Felice è il coraggio del vuoto, della non aspettativa, del conflitto, dello spazio aperto a ciò che accade, a ciò che non è nostro e non possiamo possedere, che ci può solo essere regalato e non potremo usare per rispondere “” alla domanda se siamo felici. 

[Perché viene prima il sì e poi la felicità]


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; 

Scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale.




Finestra sui social – twitter: Aucharbon (@alcarbon68)

Et voilà un chasseur d’images, figeur d’instants, attrapeur de lumière, collectionneur de graphismes, voleur d’ombres, chercheur de beauté… (inutile tradurre, si capisce benissimo lo stesso e il francese fa sempre figo)

Non lo conosciamo se non attraverso il suo profilo twitter e le magnifiche fotografie in bianco e nero che carica quasi quotidianamente sul social dell’uccellino.

Ma siamo certi che assomigli a Jean Gabin o a Lino Ventura; e senz’altro lo si potrà riconoscere nei bistrot di Boulevard Magenta mentre sorseggia il suo Pernod.

https://twitter.com/alcarbon68



Jack Frusciante è uscito dal gruppo – Enrico Brizzi

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. Persino da te stesso”

Illustrazione Federico Fossi_ vietata la riproduzione senza consenso scritto

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Jack Frusciante è uscito dal gruppo – Enrico Brizzi

Casa editrice: Mondadori 

Anno di pubblicazione: 1994

Genere: narrativa 


Libro della mia adolescenza che racconta l’adolescenza.

La potenza dei libri.. Alex, diciassette anni e protagonista della storia, legge un libro e in lui scatta qualcosa.. inizierà a guardarsi intorno, vivendo tutte le esperienze tipiche dell’adolescenza.

L’adolescenza è la scoperta della consapevolezza della propria individualità, che mette in discussione quello che i genitori e la comunità ci ha insegnato e, a volte, impartito.

È quel periodo dove si mettono le basi per la costruzione della nostra personalità attraverso lo sguardo critico di quello che ci circonda, associato al costante antagonismo verso quello che non riteniamo giusto e verso tutti i tipi di ingiustizia.

In adolescenza si gettano le basi della propria crescita culturale, coltivata soprattutto attraverso la musica; fondamentale è, ovviamente, anche il confronto con le dinamiche dei “grandi”.

Durante questo particolare periodo risultano fondamentali le amicizie; queste possono essere obbligate e/o legate ai compagni di scuola e non sempre riescono a farci sentire del tutto completi. Le amicizie però possono essere coltivate anche con singoli ragazze/i: rapporti elitari nati e coltivati al di fuori dell’ambiente scolastico. 

I grandi gruppi di amici che in alcune occasioni possono non farci sentire accolti e apprezzati a pieno, consentono di condividere avventure ed emozioni affascinanti, spesso proibite, ma che restano nel cuore.

I veri amici, protetti e difesi con affetto, tante volte possono restare al nostro fianco fino all’età adulta.

Nell’avvicendarsi e nell’andirivieni delle amicizie, alcuni adorati compagni di scorribande e di sogni possono trovare difficoltà a gestire i propri limiti, con il rischio di vederli travolti da un mondo più grande di loro, dove gli adulti non riescono a proteggerli e a salvarli.

L’adolescenza, infine, è anche e soprattutto la scoperta dell’amore. L’amore grande, immenso, che ci riempie e ci fa volare.

I primi rapporti sono totalizzanti e ci travolgono, non soltanto dal punto di vista fisico. 

Le giornate si impregnano di sogni e di speranze che a volte s’infrangono, a causa dei primi tradimenti o di eventi indipendenti dalla volontà degli innamorati.

Quando il primo vero amore finisce, il dolore è lancinante e sembra non lasciare scampo..

Il sano passaggio all’età adulta sembrerebbe possibile soltanto se si riescono a vivere tutte le emozioni “previste” dall’adolescenza: amori, delusioni, felicità immense e delusioni cocenti.

Non è facile distinguere se i ricordi provengono dalla lettura del libro o dalle esperienze del lettore.. sicuramente “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” è travolgente e ricorda le preziose emozioni vissute da ragazzi (musica, amore, sofferenze, passioni e musica).

Probabilmente, come Alex, anche noi abbiamo vissuto un viaggio solo e triste “come una birra senz’alcool”.


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

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Sogno di un’ ombra, l’uomo.

Anna La Tati Cervetto_ Double_tecnica mista.

un racconto di Cristiana Caserta_

“Avevo sempre pensato” – dico al mio amico Vittorio davanti ad un Drambuieche a quest’età sarei stata una persona tranquilla, saggia, pacata…”

“Invece?”

Mi entusiasmo, mi incazzo, sbaglio, mi deprimo come quando…….”

Penso a una me stessa più giovane – a venti, a trenta, a quaranta – e finisco sempre col trovare una persona con la testa sulle spalle. Responsabile, alla fine dei conti. Quindi ‘sta cosa dell’entusiasmarsi, incazzarsi, sbagliare è recente…

È perplesso, lo vedo. Guarda dritto davanti a sé, oltre la ringhiera che separa il nostro tavolino dal mare della spiaggia di Mondello, dove, anche se è sera e se l’estate sta finendo, alcuni ragazzi fanno il bagno ridendo e rincorrendosi.

Che sbagli avrai mai fatto?” 

Mi chiede sorridendo, curioso. Glieli racconto. 

Ego te absolvo…”

Mi dice, facendo una faccia seria e contrita, da vecchio confessore. Rido. 

“A te? che ti affligge?”

Non sono certo di volere insegnare, di essere adatto…”

“Sei più che adatto!”

Sono certa di questo. Siamo stati colleghi per alcuni anni: i ragazzi lo adorano; adorano la sua emotività, il fatto che si commuova declamando certi versi, la sua severità, la sua capacità di leggere dentro di loro, capirne i turbamenti. 

“Ma…tutta la vita? Senza avere mai fatto altro?”

Pare sgomento. Una fila interminabile di anni sempre uguali gli passa davanti agli occhi e gli annebbia lo sguardo. Conosco l’ansia di sentirsi intrappolati, anzitempo. Il desiderio senza oggetto. 

Non dico niente. I pensieri notturni sono così: devono ingigantirsi, allargarsi e gonfiarsi come le nuvole di pioggia nera, diventare tragici fino a consolidarsi in qualche irrevocabile decisione di cambiamento; per poi dissolversi, di mattina, davanti al caffè, quando la realtà consueta appare così compatta e solida che sembra impossibile anche cambiarne anche solo un dettaglio.

“Che vorresti fare?”

Non lo so…” – sospira – “Vorrei passare un periodo di studio da qualche parte. In Francia o in Grecia”.

Si scola il suo cocktail e fa cenno alla cameriera di portarne un altro, per entrambi. 

“Se vai in Grecia, prendi una casa con un letto per me, ti vengo a trovare. C’è la Scuola Archeologica Italiana, ad Atene.”

Atene…”

Guardo i nostri cocktail. Le nostre uscite sono quasi sempre così: bere qualcosa e parlare.

“Ma poi dobbiamo trovare un bar, una taverna…”

“Potremmo studiare di mattina, vagare per l’acropoli di pomeriggio, ubriacarci di Retsina di sera…

L’idea mi piace. Troppo. Il mio sguardo si perde sull’orizzonte, appena rischiarato dalla luna, sulla linea del mare nero, oltre i merli e i fregi liberty del Charleston, che pare senza peso, poggiato sull’acqua a pochi metri da noi. 

E sarebbe facile se vogliamo, prendere un traghetto dal Pireo e passare qualche giorno sulle isole.

A declamare versi…”

Con i piedi nudi nell’acqua…

“Possiamo farlo anche qui, volendo…”

Dopo cinque minuti, abbiamo i piedi nell’acqua tiepida. Il nostro mare non deve essere troppo diverso dal mar Egeo. 

Un lampo lontanissimo illumina l’orizzonte. Parliamo un altro po’ – di amori, di libri, di progetti, del deludere sé stessi – passeggiando sul bagnasciuga e guardando la tempesta avvicinarsi. 

Prof!”

All’improvviso, uno dei ragazzi che fanno il bagno si stacca dagli altri, gocciolante, e ci viene incontro ridendo. È Fulvio, un nostro comune alunno di qualche anno fa. Gli facciamo festa: ci baciamo e ci abbracciamo. Cerca di spiegare ai suoi amici, abbastanza increduli, che noi – con lo sguardo trasognato e i piedi nudi – siamo stati suoi prof… prof veri! di quelli che interrogano e spiegano! Severi! Si ricorda di alcune lezioni. Le enumera:

Machiavelli, che la sera si cambiava vestito per leggere i classici; Petrarca, che cercava la scorciatoia per salire sul monte Ventoso; poi mi ricordo di Tasso … che voleva seguire le regole, ma non ci riusciva, voleva e non voleva… e finì in manicomio!”

Ridiamo della sua foga. Penso a quante cose ha un professore con cui affascinare i suoi alunni. Parliamo dell’estate, di viaggi, di progetti per l’autunno. Gli chiediamo che cosa fa, in che facoltà si è iscritto. Ingegneria gestionale, ci risponde. Gli piace? vogliamo sapere. Sì, gli piace, ma non ne è certo.  

“Prof, si ricorda della lezione sul tetrafarmaco di Epicuro? Quella sulla felicità? O dell’arte di amare di Ovidio?” – si ferma a riflettere, il suo viso si incupisce per la concentrazione. Cerca le parole, ma non le trova – “se tutti i prof fossero stati come voi…”

Ci salutiamo, con altri baci, abbracci e raccomandazioni. Fra poco piove, meglio asciugarsi e rimettersi le scarpe. 

Il mio amico Vittorio è rimasto silenzioso. Capisco il suo dilemma. Mi pento del cinismo con cui ho declassato a ‘notturni’ i suoi pensieri. Mi ricordo che fu del tutto ‘diurna’ la mia decisione di lasciare l’insegnamento. Non ho consigli da dargli, purtroppo. 

Ma, se c’è un senso dell’insegnare, – penso – forse è in incontri come questo, nel ricordarsi di quell’ora di lezione, nel sapere che ci sono – oltre alle cose utili, che servono – anche quelle meravigliosamente ‘inutili’, come i versi di Ovidio, o di Saffo. Mi ricordo di una cosa: “Qual è il verso che ti sei tatuato sul braccio?”

“Skias onar, sogno di un’ ombra”.

“mi ricordavo che c’era anche anthropos, uomo…”

nel verso di Pindaro, sì, sul mio braccio no”.


Skias onar anthropos, “sogno di un’ombra, l’uomo”

(Pindaro)


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; 

scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale.




Angeli e Alchimia.

“Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa.

Persino da te stesso”

Copertina Alessandra Carriere
Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Angeli e Alchimia – Barbara De Maestri

Casa Editrice: Independently Published

Anno di pubblicazione: 2019


Ho avuto la fortuna di conoscere Barbara De Maestri tramite Instagram ed è stata sintonia a “prima vista”. Barbara è empatica e va oltre lo strato superficiale della quotidianità.

Da cosa sono regolamentati i nostri comportamenti e i nostri pensieri? 

Che cosa c’è dietro quello che noi crediamo essere la realtà?

“Angeli e alchimia” è un viaggio nel mondo dell’alchimia con alcuni spunti di esoterismo e fantasy.

Ancora oggi i misteri della pietra filosofale affascinano gli appassionati in materia ma chissà che non si tratti solo di qualcosa di intangibile e che quello che rappresenta non sia qualcosa di diverso.. con uno studio approfondito di noi stessi e delle leggi della natura tutti noi potremmo ottenerla?

Estelle, Marcus, Dylan, Samuel e Lucas sono compagni di classe e ognuno di essi sembra avere qualcosa di speciale. Il prof. Hopp ne sembra convinto.. quali misteri e quali progetti ha in serbo per i giovani ragazzi?

La coscienza collettiva e le sorti dell’umanità sembrerebbero a rischio a causa di un personaggio oscuro e ambiguo arrivato in città, Milano (dove inizia la storia è dov’è in parte ambientata).

In modo misterioso i cinque compagni di avventura vengono portati a Mont Saint-Michel, luogo cruciale alchemico dove gli eventi si svilupperanno a ritmo sempre più serrato e quando tutto sembra essere arrivato a conclusione, il lettore viene lasciato a bocca aperta!

La storia personale dei cinque protagonisti e i loro rapporti familiari impattano profondamente sulla qualità delle loro vite e forse per loro è arrivato il momento di fare i conti con se stessi. 

“Angeli e Alchimia” è anche lo spunto di riflessione sull’amore eterno e sul reale rapporto delle anime delle persone: namasté!

La scrittura di Barbara è ricca di amore.

La ringrazio per il regalo che ha fatto a noi lettori con questo libro, ricco di emozioni, suspense e spunti di riflessione importanti!

Copertina Alessandra Carriere

Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/