Dentro la mia bottiglia vuota stavo costruendo un faro, mentre tutti gli altri stavano facendo navi.

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di Valeria Frascatore_

C’è una stanza, illuminata di giorno e di notte, è circolare nonché piena di pulsantiere a pannello e spie colorate.

Fa venire voglia di pigiare a caso, di far parte del meccanismo, di vivere l’incertezza che può scatenare la pressione su uno qualsiasi dei tasti.

Se ci si accosta alle immense vetrate, un po’ appannate dalla salsedine e dalla condensa, si vede il mare da qualsiasi angolazione.

Il cielo è sempre all’altezza del cuore e lo si dipinge a piacimento, con i colori della quotidianità.

Il fragore del moto ondoso e il turbinio dei venti che soffiano,incalzanti, scandisce lo scorrere del tempo, così come gli stati d’animo. Dalla tempesta, al sereno in un batter di ciglia:mentre, in realtà, magari, in quella stanza, è già trascorsa una vita intera.

E’ un rifugio, per quanti vivono un idealismo di trincea e una parossistica sete di conoscenza.

Lo si raggiunge dopo aver percorso un intricato labirinto sulle cui scivolose pareti scorrono, in rapida sequenza, voci, suoni, volti e immagini del passato:la sola chiave di lettura di un presente ricurvo su se stesso e spasmodicamente teso alla ricerca di un sano intimismo contemplativo e di una nuova naturalità del sentire.

Una specie di piccolo regno proibito, in cui gettare via l’usuale costume di scena fatto di spavalderia e granitiche certezze e farsi lacerare, tramortire dal dubbio e da tutto quel che provoca scissione tra la dimensione fisica e spirituale dell’Essere.

In codesta stanza, la legge che regola gli improvvisi aneliti del pensiero e i suoi incauti slanci verso il Superiore, stenta a contrastare la potenza e il vortice delle pulsioni terrene che tengono il corpo saldamente ancorato al suolo.

È lì dentro che si aprono infinite fessure su storie di imperfezione umana, brandelli solitari di vite consunte dal pianto e da ordinari, inconfessati strazi: si gioca con la logica stringente della fine che si fa principio e del principio che si fa fine, alimetando continui capovolgimenti di ruolo tra un nuovo essere (e seppure,poi, che cosa?) e un poco rassicurante esser stati (piuttosto misera cosa).

In questo stato di imperterrito fervore, si cerca di stanare una preda chiamandola per nome a occupare un posto in un non luogo del non spazio e del non tempo che la mente stenta a prefigurarsi: è un eterno delirio di fronte a misteri incommensurabilmente più grandi rispetto alla conoscenza di sé; chissà…forse, chi arranca nella tempesta di profezie e promesse di un mondo migliore, in quella stanza trova solo l’approdo più sicuro. La propria, personale dimensione di quiete.

La protezione da chi, là fuori, schernisce ma non vuol essere schernito e riesce a dar senso alla propria esistenza solo assaporando il gusto della sfida, rovesciando, con mano nuda e ferma, la sfolgorante clessidra che regola l’andamento di vite semplici, tendenti alla mitezza, al sorriso e alla voglia incontenibile di capirsi.

All’interno della stanza, può capitare di voltarsi fulmineamente e di non vedere più il cielo e il mare, tutt’intorno.

A volte, è l’irrimediabilità a governare, incurante della danza di turbini di sabbia finissima e colorata che, agitandosi tra le vitree pareti di una storia, nascondono la verità mentre schiere di errori mai perdonati e   occasioni sfumate si presentano alla porta, bussando con insistenza.

Con il collo stretto dal giogo del cadenzato rincorrersi dei giorni sull’orologio della vita, chi occupa quella stanza di forma circolare persevera ingaggiando disperate battaglie con il nemico TEMPO, colpevole di aver disperso, come foglie al vento, gli echi di lacere esistenze e voci di una guerra mai sopita.

Resta la speranza di invertire il corso degli eventi: è una spada con cui si può fendere l’aria e, allo stesso modo, la propria, personale storia. E più si assestano colpi, più è possibile sentire quella speranza aumentare dentro di sé.

Non sbarrare la porta vuol dire rifuggire gli stati monocordi e i toni monocromatici del quadro dell’esistenza, dipingere il giorno e la notte con gli unici e soli colori che si riescano a distinguere mentre, confusi, giacciono su deboli cuori a forma di tavolozza. Perchè è da quei colori che nascono i migliori dipinti del mondo.

Vedere mani che si muovono sulla tela del tempo con inusitata certezza e sembrano orientarsi con estrema disinvoltura tra le pieghe di uno straordinario vortice cromatico in cui, ciò che siamo, diventi centralità assoluta:questo è dare senso alla permanenza in quella stanza.

Breve o lunga, non ha importanza.

Viaggiando attraverso gli ingranaggi e i precisi meccanismi della caleidoscopica, affascinante realtà racchiusa in quel piccolo microcosmo, si riesce persino ad apprezzare la vita e la si vede finalmente assurta alla realizzazione della sua massima aspirazione:l’atarassia, una specie di avveniristica panacea alle inquietudini e ai mali del nostro tempo.

La mia stanza sta in cima a un faro. Il faro sorveglia tutt’intorno e mi sorveglia dentro con la lentezza tipica della sua luce rotante. Al tramonto, quando le sfumature di rosa e arancio si disegnano nel cielo e prevalgono, come ad annunciare la fine della burrasca, la mia anima sorride e si libera, insieme ai gabbiani, in un volo disordinato ma imperturbabile.

Mi piace indugiare in cima al faro e in quel volo, soprattutto quando non condivido le dinamiche di ciò che avviene sulla Terra, quando quel che vedo non mi piace e mi fa male.

Perciò vi chiedo scusa se ,anche per oggi, non scendo e mi trattengo ancora un po’.

L’importante è che sappiate sempre dove trovarmi. Facciamo finta che, ogni tanto, da qualche parte, su questa Terra, si possa contare anche su di me.


Valeria Frascatore_

Ho 47 anni. Coniugata, due figli. Sono un ex avvocato civilista, da sempre appassionata di scrittura. Sono autodidatta, non avendo mai seguito alcun corso specifico sulla materia. Il mio interesse é assolutamente innato, complici – forse – il piacere per le letture, la curiosità e la particolare proprietà di linguaggio che,sin dall’infanzia, hanno caratterizzato il mio percorso di vita. Ho da poco pubblicato il mio primo romanzo breve dal titolo:Il social-consiglio in outfit da Bianconiglio. Per me è assolutamente terapeutico alimentare la passione per tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura. Trovo affascinante l’arte della parola (scritta e parlata) e la considero una chiave di comunicazione fondamentale di cui non bisognerebbe mai perdere di vista il significato, profondo e speciale. Credo fortemente nell’impatto emotivo dello scrivere che mi consente di mettermi in ascolto di me stessa e relazionarmi con gli altri in una modalità che ha davvero un non so che di magico.

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