In attesa di sapere.

Edward Hopper, I nottambuli, 1942, olio su tela, cm 76.2X144. Chicago, The Art Institute of Chicago, Friends of American Art Collection

di Cristiana Caserta_

Un bar illuminato. Dentro: due uomini, una donna vestita di rosso, un barista. Fuori, una città vuota e buia.

[l’uomo col cappello]

La sera era umida. L’umidità sembrava trasudare dagli angoli bui delle strade, dove l’aria era quasi solida. Maleodorante. Si calò la falda del cappello sulla fronte e affrettò il passo per sfuggire a quegli angoli tetri, a quel buio malsano. 

Un bar inondava di luce gialla la strada. 

Entrò, di malavoglia. Suo malgrado, quasi. 

Non voglio tornare a casa.

Il pensiero gli attraversò rapido la mente, così veloce che non ebbe tempo si scacciarlo e restò sgomento, come colpito da una pallonata con un pugno di ragazzini insolenti e spavaldi intorno,ad aspettare una sua reazione. E quei ragazzini erano i suoi pensieri. Insolenti. 

Li scacciò via.

Andò a sedersi nel posto più lontano possibile dall’unico altro cliente del bar, così da non sentirne la solitudine. O da non fargli sentire la sua. 

Ordinò un caffè. 

Non gli importava se non avrebbe dormito, la notte. Amava casa sua, di notte. Quando gli altri dormivano.

[la donna vestita di rosso]

Alzò lo sguardo, e fuori dalla finestra era già buio.  Era sera ed era digiuna. Fece scivolare il libro per terra, gli occhi le facevano male, si tolse gli occhiali e si massaggiò l’attaccatura del naso.  La lettura la prendeva. Ma, a volte, doveva smettere di leggere: c’era qualcosa – una frase, un pensiero, un parola – che si faceva strada nella sua testa, ma come sfocata, inafferrabile. La sentiva precipitare dentro di sé, girare a vuoto, vorticare, fino a trovare un altro pensiero, una parola – gemella – che l’avrebbe illuminata.

Doveva fare altro mentre questo accadeva. 

Uscì.

L’aria umida della sera la sorprese. Attraversò la strada deserta e si vide riflessa nella vetrata del bar. Oltre la sua immagine, dentro, c’erano due uomini. Andava spesso in quel bar. Quasi ogni giorno, in realtà. Sedeva sempre allo stesso posto, da cui poteva vedere le finestre del palazzo di fronte. 

Le piaceva guardare dentro le case, dalle finestre. Le piacevano le case.

Un uomo col cappello era seduto al suo posto e beveva un caffè. Gli si sedette accanto e ordinò un panino e un caffè. Voleva stare sveglia. Finire il libro. Fermare il maëlstrom della sua testa. Avrebbe dormito poi.

[l’uomo col cappello]

La vide arrivare , una macchia rossa, guardare la sua immagine riflessa nella vetrata, sistemarsi i capelli. Entra – pensò. E contemporaneamente: non entrare. Cercò riparo dall’assurdità dei suoi pensieri nella parete di fronte. Nelle bottiglie di liquore ordinatamente allineate. Non la guardò entrare, ma intuì di averla accanto perché emanava un profumo leggero: limone, forse. Il barista gli sorrise e gli chiese se volesse altro; fece cenno di no con la testa. Poi sorrise anche a lei e scambiarono qualche parola; poi lei sembrò immergersi in qualche pensiero, come se cercasse di mettere a fuoco qualcosa.Note di un jazz invasero la stanza. Si innervosì. Rimpianse la calma e il silenzio di prima, prima che lei entrasse. Lei sarebbe uscita, il barista avrebbe sicuramente spento la radio e smesso di sorridere, sarebbe tornato il silenzio, ma sarebbe stato diverso. Un silenzio diverso. E lei sarebbe sparita nella notte, chissà dove. Ignara. 

Quel pensiero lo incupì. 

Meglio andarsene. Prima che tutto ciò accadesse. 

[l’uomo di spalle]

… ci sono scrittori che sanno scrivere solo di una cosa, ossessionati; e pittori che sanno dipingere solo una cosa: cattedrali, ninfee, mani. Leonardo era un pittore di mani. L’ultima cena. Le mani di Gesù. Come quelle di un direttore d’orchestra. Che cosa sono i gesti di un direttore d’orchestra?

Se lo era sempre chiesto… 

Le mani di quei due seduti di fronte. Le guardava da un bel po’. Si sfioravano. Lei aveva divorato il suo panino e ora si guardava intorno come stupita di essere in un bar. Come se vedesse per la prima volta il barista e l’uomo col cappello accanto a lei. L’uomo era nervoso, invece. Si spostò impercettibilmente verso di lei, incerto se iniziare una conversazione o alzarsi. Lei lo guardò e gli chiese qualcosa, indicando un punto oltre i vetri, dall’altra parte della strada. 

[il barista]

Certi uomini sono misteri che è meglio non voler indagare. Abissi

Come quell’uomo che beveva il caffè. Gli chiese se volesse qualcos’altro. Ne aveva visti tanti da dietro il bancone di quel bar… Ma lei gli avrebbe parlato, si capiva. C’era quell’audacia, quella spavalderia…Sorrise. 

Accese la radio. La musica scacciò via la sua tristezza. 

Secondo lei chi ci abita in quella casa? “-  indicò una finestra spalancata, sul palazzo di fronte, dall’altro lato della strada. 

foto di Valeria Simonetti_“Notte”_riproduzione vietata senza autorizzazione scritta.

Lui seguì con lo sguardo il gesto di lei, oltre il suo braccio, oltre la mano nel buio verde.

” Uno scrittore? 

Già! Domanda idiota. Si vedono i libri.Lei legge?

Sì.”

“Lei scrive?

Un po’.Cosa legge?“”

Saggi, biografie, di scienziati specialmente 

“Lei cosa scrive?”

Niente di così intelligente…

L’intelligenza è sopravvalutata

Perché? Io ho una sconfinata ammirazione per le persone intelligenti”

Lei fece una smorfia e si fermò un secondo a pensare. Poi si adombrò.

Non sono quasi mai felici

Lei è felice?

Sì.

Nessuno risponde “sì” a questa domanda. Non sta bene.

E perché la fa, allora?

Per trovare l’eccezione, forse.

L’ha trovata.


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale