Libera nos a malo. [ Il Bias di colpa e merito!]

foto di Silvia Berton_ MA(D)RE_ Vietata la riproduzione senza autorizzazione scritta dell’autore.

di Christian Lezzi_

Universalmente conosciuti come BIAS, i tratti cognitivi rappresentano vere e proprie scorciatoie di pensiero, deviazioni dal percorso logico originario (quindi basate sul ragionamento) dovute all’esigenza della nostra psiche di operare un efficace risparmio cognitivo, come contrapposizione difensiva alla gran mole di stimoli e alla importante quantità di informazioni, che giungono a noi, ogni giorno e in ogni momento.

Ottimizzazione quindi, tesa a risparmiare tempo, impegno e fatica, nel decidere di conseguenza a quegli stimoli. A volte, queste scorciatoie, ci permettono di prendere decisioni immediate, senza appunto implicare troppe risorse mentali e di tempo ma, altre volte, inducono una errata interpretazione della realtà, ovvia conseguenza alla concatenazione di errori di valutazione e di ragionamento, capace di distorcere e snaturare la realtà stessa. 

Il concetto di base, che agisce per mano di questi meccanismi, è quello secondo cui siamo esseri emotivi con una spiccata tendenza alla razionalizzazione – non esseri razionali tout court – quindi agli esatti antipodi del vetusto Cogito ergo sum, di cui abbiamo abbondantemente parlato in altre sedi e in altri articoli, abilmente destituito di fondamento, dal Prof. Antonio Damasio, nel libro “L’errore di Cartesio”. Una razionalizzazione che tende a creare quelle strategie cognitive preimpostate, quella serie di scelte strategiche pronto uso o pronta cassa, finalizzate al minore dispendio di risorse e all’utilizzo semplice di schemi e strategie comportamentali.

Bias conosciuti e codificati dalle Neuroscienze moderne sono moltissimi, ma altrettanti sono quelli ancora non codificati, al punto che, ipotizzarne un numero definitivo è cosa ardua, forse impossibile. Si suppone comunque, a titolo di esempio, che siano circa duecento quelli più importanti.

Tra questi, giusto per citare le principali macro-categorie, troviamo quelli di giudizio, di memoriaindividualidi gruppo, di decisione, di motivazione, etc., raggruppati a loro volta per sovraccarico (troppi stimoli, tutti insieme), scelta (la cernita di quelle informazioni, per risparmiare la memoria), fretta (per risparmiare od ottimizzare il tempo) e per mancanza (la mente umana unisce i puntini e, in assenza di informazioni complete ed esaustive, le immagina, le deduce dal contesto o, semplicemente, le crea).

E, scendendo nello specifico, non possiamo dimenticare i Bias ritenuti tra i più importanti in assoluto, i “fantastici tre” che, nel bene e nel male, dominano la mente umana di tutti noi, nessuno escluso: il Bias di conferma (la ricerca inconscia delle tesi che danno ragione alle nostre convinzioni e alle nostre credenze, escludendo in automatico tutte le altre), quello di colpa o merito(i risultati positivi sono merito nostro, mentre quelli negativi sono colpa d’altri) e quello di eccessiva fiducia (in noi stessi e nelle nostre capacità, sovrastimandole, salvo poi sottostimare i rischi e i pericoli correlati a ciò che facciamo).

In questa sede ci occuperemo del secondo citato, ossia del Bias di colpa o merito e del suo aspetto più interessante, ovvero il particolare meccanismo di elaborazione, attribuzione e delega delle responsabilità.

Per effetto di questo tratto cognitivo che semplifica, come gli altri, le esperienze umane, sentiremo un automobilista dire “mi sono venuti addosso”, oppure “ho evitato un incidente” qualunque sia stata la dinamica dell’incidente, in funzione della sua attribuzione inconscia di colpa o merito relativa allo sgradevole episodio. Allo stesso modo, uno studente distinguerà la responsabilità di un cattivo voto, dal merito di uno positivo, arrivando a dire, delegando la responsabilità, “il professore mi ha messo 3”, in aperta contrapposizione cognitiva con il più autocelebrativo “ho preso 7”.

Probabilmente derivante dal colpa e merito, di estrema importanza e interesse è la variante della responsabilità esterna, ovvero la convinzione di non essere responsabili (di non aver colpe) delle proprie azioni e del risultato conseguente dipendendo, quest’ultimo, esclusivamente da fatti e forze al di fuori del nostro controllo (almeno secondo il tratto cognitivo in questione). Si tratta di una scorciatoia che ci porta a cercare le responsabilità al di fuori della nostra sfera d’influenza, fino a credere ai complotti, alle macchinazioni, ai poteri superiori e occulti sempre pronti a tramare contro di noi e a remare contro il nostro destino. 

Questa convinzione ci libera dell’ansia della decisione, proteggendoci dall’insoddisfazione e dalle delusioni provocate dai nostri errori, portando il pensiero a ruotare ossessivamente intorno a questo concetto e rendendolo incapace di reagire e di uscire dal pantano dell’auto-inganno.

Questo tratto cognitivo – e il conseguente assetto mentale – porta a sentirsi protetti e tutelati, perché andrà tutto bene (ti ricorda qualcosa?), che tanto, presto o tardi, qualcuno se ne occuperà e, con un po’ di fortuna, ci toglierà le castagne dal fuoco. Un modo come un altro per rifiutarsi di crescere, di assumersi le proprie esclusive responsabilità, facendo leva inconscia sul ricordo di un’infanzia perduta, di quando erano i nostri genitori a decidere per noi, sollevandoci dall’incomodo onere, nel bene o nel male.

È più facile dare la colpa delle nostre umane miserie a chiunque, o a qualunque cosa, al di fuori di noi, pur di non guardarci allo specchio, per non dover puntare quell’indice indagatore contro noi stessi e contro le nostre scelte. Anche contro le mancate scelte (perché anche non scegliere, è una scelta) foriere di conseguenze immediate o future. E pur di trovare un’attenuante o una giustificazione ai risultati che la nostra vita, per nostra mano ottiene, siamo pronti a darne la colpa alla divinità (scegli tu quale, a tuo piacere), al destino, all’oroscopo, ai concorrenti, al mercato, alla crisi, alla pandemia, ai russi, agli americani e, perché no? ai cinesi e ai talebani. 

Insomma, a qualunque cosa (o persona, o evento, o forza sovrannaturale) che abbia a che fare con quelle nostre scelte e con le nostre azioni, anche quando siamo gli unici fautori di esse, quindi gli unici artefici di quel destino che, nella nostra idea, ci rema contro.

Mai inganno fu più distruttivo dell’esito e lesivo della dignità di pensiero.

La libertà consapevole di scegliere e di agire spaventa, genera stati d’ansia e d’angoscia, derivati dalla paura di fare i conti anche con se stessi, riconoscendo con serenità i propri errori e sfruttandoli come insegnamento, punti fermi dai quali ricominciare, senza che la nostra autostima e la nostra autovalutazione ne escano sconfitte.

Il lato più deleterio di questo Bias (come di quasi tutti i Bias, del resto) è la velocità con la quale agisce, il senso d’urgenza motivato solo dal risparmio di energie e mai da necessità reali (fatto salvo il Bias di autoconservazione). Occorre invece prendere le distanze da questa fretta, dal pensiero precipitoso e affannato, soprattutto quando siamo alle prese con decisioni di grande importanza. Un passo indietro, in questi casi, è ciò che può far la differenza, tra successo e fallimento o, melodrammaticamente parlando, tra la vita e la morte, razionalizzando le emozioni e la “pancia”, facendo sì che ci indichino un percorso da prendere, ma solo dopo averci ragionato, supportandole razionalmente. 

Valutati i pro e i contro, insomma, con lucidità e oggettività.

Facile? Proprio per niente. Anzi, è addirittura difficile riconoscere questo meccanismo cognitivo nei nostri stessi processi logici e nel nostro vissuto quotidiano. Per contro, possiamo facilmente riscontrare il meccanismo di responsabilità esterna nella vita quotidiana al di fuori di noi, o negli altri, ad esempio quando i leader politici di riferimento che si propongono come unici risolutori di un problema che dipende e deriva sempre da altri, o è stato ereditato dai predecessori, che quindi esula dalle proprie responsabilità, proponendosi come difesa dalla minaccia (crea un nemico comune e avrai un elettorato) in favore del singolo e della collettività, finora trascurata e indifesa.

A condizione che tutti, singolo e collettività, abdichino al controllo e alla verifica del reale rischio, del vero problema e delle corrette soluzioni adottate.

Il tratto cognitivo della responsabilità esterna, se da una parte ci protegge dall’incertezza presunta e ci rassicura da un pericolo che, spesso non è così reale come veniamo suggestionati a credere, per contro, pretende in pegno i nostri beni più preziosi: la libertà, l’autonomia, il senso di responsabilità e la capacità di operare una scelta consapevole. 

Una condizione a dir poco vessatoria e per nulla equa, a ben vedere, cui opporre necessariamente un ragionamento attivo, che non sia estraneo alle scorciatoie, ma che, a condizione di conoscere noi stessi e le nostre emozioni, conservi integra la capacità di valutare e di sfruttare a nostro beneficio queste ultime, lasciando spazio all’istinto, cum grano salis!


Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano.

Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.




Conosci te stesso e le tue emozioni.

Anna La Tati Cervetto_Decadence_tecnica mista.

di Christian Lezzi_

Conoscere se stessi, come se fosse facile, così presi dal quotidiano apparire, dall’ordinario essere (o, per lo meno sembrare) qualcosa che agli altri piaccia, per essere apprezzati, accolti, coinvolti nell’Io collettivo che tanto agogniamo.

Conoscere se stessi, come se fosse semplice da fare e non solo da dire, come se già non fossimo presi, oberati ogni momento, dal vuoto concetto, dal fuorviante miraggio dell’essere se stessi, qualunque cosa voglia significare questo arido modo di dire, seppur consapevoli che ogni azione, ogni pensiero, ogni molecola di umanità, ogni scintilla di vita che ci anima, come un potente propulsore che ci spinge fino alle stelle, ci conduce al miglioramento di noi stessi e del mondo intorno a noi.

Perché la vita è crescita continua – diversamente vita non è! – senza sosta e senza ristoro, per non accontentarsi di ciò che si è e per ambire a ciò che si vuole essere, che si vuole fortemente diventare, in un percorso (a ostacoli) che muove dallo stato attuale e ci conduce a quello desiderato.

Parliamo quindi di auto-coscienza e di auto-consapevolezza, la seconda come ovvia conseguenza della prima (e forse anche viceversa), di presa di contatto con se stessi, con le metaforiche fattezze celate in profondità, nell’intimo, necessarie a scoprire chi siamo, come siamo, quali obiettivi vogliamo raggiungere e quali vette vogliamo scalare. 

Coscienza e consapevolezza di se stessi e delle proprie emozioni, utili e necessarie a conoscere, prima di ogni altro aspetto, i nostri stessi limiti, le carenze che ci trasciniamo dietro, le lacune che ci rendono incompleti, i margini di miglioramento sui quali possiamo attivamente agire e adoperarsi per completare quel percorso di apprendimento ed elevazione che ci rende, per dirla con Lao Tse, non solo intelligenti, da conoscere gli esseri umani, ma anche saggi, da conoscere noi stessi.

Tutto il resto è una vita nell’illusione, nella più sterile aspettativa di ciò che non può essere, o che, in realtà è ben diverso da come lo immaginavamo, presi come siamo dal sogno che c’inganna e che ci porta fuori strada, dall’illusione soggettiva e superficiale che ci delude.

Occorre quindi, per conoscere se stessi davvero, lungi dall’inganno, conoscerle a fondo quelle emozioni, per imparare a gestirle senza ignorarle, senza rimuoverle o respingerle in profondità, per capirle e reagire a esse nel modo più consono e opportuno (che non è mai l’emozione, il problema, ma come noi reagiamo al suo palesarsi), indagando i motivi che le hanno generate, il perché di quel sentire, di quello stato d’animo, di quella rabbia o di quella tristezza, eviscerandole nella loro più realistica verità, soppesandone il vero carico e il reale peso, senza cedere alle nostre soggettive aspettative, per smontarle e depotenziarle, fino a riderci sopra e trasformarle in emozioni positive o, per lo meno, in qualcosa di meno potenzialmente pericoloso.

Ed è proprio qui la difficoltà: razionalizzare le proprie emozioni, ai confini della nostra natura emotiva, senza cadere nel grave e ormai ben noto errore di Cartesio, perché noi umani, nonostante il lascito intellettuale del filosofo francese (ad esempio il suo fuorviante cogito ergo sum) siamo esseri emotivi che pensano, non esseri razionali che si emozionano. 

E la differenza, a ben riflettere, è di vitale importanza.

Analizzare noi stessi, quindi. E le nostre stesse emozioni, allo scopo di superare l’abbaglio delle aspettative e del costrutto immotivato della nostra fantasia. Allo scopo, può essere utile e opportuno confrontarsi con gli altri, discutendo gli accadimenti secondo il nostro e il loro personale punto di vista, aprendosi al confronto più edificante, perché non sia solo la nostra miopia, o l’angolo d’osservazione sbagliato, a determinare il nostro sentire a proposito, ma l’attenta e corale analisi dell’insieme.

Impariamo, cammin facendo, ad apprezzarci. Impariamo a darcela, quella metaforica pacca sulle spalle, ad applaudire i nostri sforzi, ad apprezzare ciò che abbiamo fatto e come lo abbiamo fatto, festeggiando il risultato, seppur piccolo, che abbiamo raggiungo e conseguito, senza mai sminuirci, senza nicchiare, senza falsa e castrante modestia, senza dar per scontato il successo conquistato a fatica, per quanto piccolo e marginale esso possa essere. 

Che a darci addosso, ad additarci e auto-accusarci, a urlare contro noi stessi, a inveire contro i nostri stessi fallimenti, a darci degli idioti per ogni piccola mancanza, siamo fin troppo bravi!

Sono i piccoli passi, sommati nel tempo, a completare una maratona. L’insieme delle piccole attività, dei piccoli gesti sommati tra di loro, a portarci ai più grandi risultati. Anche a quelli che ritenevamo impossibili. Se non impariamo ad apprezzare quei singoli e apparentemente inutili passi, mai potremo apprezzare (e nemmeno concludere) il sovrumano percorso lungo 42 kilometri e 195 metri, che si snoda dalla partenza al traguardo dell’antica corsa.

Non è ciò che facciamo una volta sola nella vita, magari per caso o per fortuna, a dirci di noi e del nostro futuro. Solo ciò che sapremo rendere quantificabile, misurabile e ripetibile, saprà dirci dove possiamo andare e aiutarci ad andarci davvero. 

Se ti riesce una sola volta, hai avuto fortuna. Se puoi ripeterlo nel tempo, hai una strategia per il futuro.

Impariamo a capirle, quelle emozioni, non solo a comprenderne il perché, ma a valutarne l’intensità e l’incidenza sul nostro stato mentale, in funzione delle risorse a nostra disposizione, della fase della giornata che stiamo vivendo, delle energie di cui disponiamo in quel momento (la stanchezza è bravissima a esacerbare gli animi), del contesto generale e personale, in cui esse prendono vita. 

Estrapolato dal contesto, nulla ha più lo stesso significato. E ciò vale anche e soprattutto per le parole, che quelle emozioni sanno così bene descrivere e ingigantire nella nostra mente, nel bene e nel male.

Non può esservi felicità alcuna, se non impariamo ad apprezzarci, se non altro perché solo accettandoci potremo conoscerci meglio. Non c’è modo di migliorare qualcosa che non si conosce, come non c’è modo di migliorare chi si limita a essere ciò che è convinto di essere, tanto in senso diminutivo che accrescitivo, dando per scontato e per assodato che così sarà per sempre, per tutta la sua vita, perché lui così c’è nato! 

Conoscerci, interrogarci, apprezzarci, valutarci, stimolarci, premiarci, per superare le frasi fatte e continuare il cammino dentro noi stessi e nel mondo, lontani dalla frustrazione delle aspettative immotivate e della carente autostima, ben protetti dai colpi della vita, dai falsi miti e dai modi di dire avulsi dal contesto e dalla logica.

Sii te stesso, è lo stato attuale. Rappresenta ciò che sei qui e ora, dice molto di ieri e di oggi, ma ben poco (se non proprio nulla) di cosa potenzialmente tu potrai fare, diventare ed essere domani. 

Conoscere se stessi, nell’intimo più profondo, è la sfida più entusiasmante, quella che ci porta allo stato desiderato, che porta all’eccellenza (o, per lo meno, da quelle parti) con cognizione di causa.

Nel primo caso sarà una mera accettazione dello status quo, a vincolarci e a permetterci di essere solo in un certo modo, nel rifiuto più totale di crescere e di progredire, chiusi al cambiamento e alle novità. Nel secondo caso, avremo un punto di partenza, un campo base dal quale muovere la nostra scalata verso un Io migliore, evoluto, progredito, dalla mente aperta sempre alla ricerca, pronto a diventare davvero ciò che, da sempre, sognava di essere.

D’altra parte, non si fanno mille e mille corsi di formazione, che siano tecnici o di crescita personale, per rimaner se stessi, ma per conoscersi e imparare a migliorarsi, tirando fuori da noi stessi, con intelligenza e applicazione, la nostra versione migliore. In attesa di scoprire la prossima versione, quella ancora migliore!

Sii te stesso e la tua vita sarà pregna di frustrazione. Conosci te stesso e la tua intera esistenza ti ringrazierà!


Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano.

Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.