Assuefazione.


di Andrea De Leo

L’uomo, inteso come essere umano, ha la capacità di adattarsi al mondo circostante. Ciò gli ha permesso, come specie, di sopravvivere e di arrivare a governare il pianeta.

Questa prerogativa –  di fronte a fenomeni straordinari, siano essi eventi naturali, catastrofi, o crisi sanitarie come quella recente –  rischia però di ritorcerglisi contro.

La sovraesposizione mediatica di questi eventi, e in questo assume una importanza fondamentale il modo in cui questi vengono presentati, potrebbe comportare una forma di assuefazione e di confusione tra la realtà e la finzione.

Mi è capitato di ascoltare, mentre vedevo in tv le scene degli afghani che camminavano nella neve con le ciabatte o addirittura scalzi, dei commenti divertiti di alcune persone che erano vicine a me.

La scena, indubbiamente, non aveva nulla di divertente, e credo che nessuna persona dotata di un minimo di capacità intellettiva, non avrebbe dubbi a definirla “terribilmente drammatica”.

Ho recentemente letto un articolo nel quale un noto psicologo si interrogava sulla ineluttabile perdita di empatia che molte persone hanno verso le tragedie di altri esseri umani.

“Assuefazione”, è la risposta che si è dato.

L’esposizione senza filtri, sia da parte dei media che dei social, di eventi drammatici che diventano ogni giorno più frequenti e la sensazione errata che questi colpiscano solo altrove, rende le persone incapaci di provare quella empatia che si dovrebbe sempre avere quando si vede qualcun altro soffrire.

Se ci fate caso, quando passano nel feed del vostro smartphone le pubblicità umanitarie che mostrano scene oggettivamente devastanti –  ad esempio bambini affamati o con ferite di guerra –  immagini sapientemente usate per stimolare il coinvolgimento emotivo al fine di ricevere donazioni – inizialmente, di fronte a questi video si assume una presa di distanza che è dovuta a sensi di colpa; ma poi con il tempo subentra una forma di indifferenza, direi una forma di generico cinismo, e si passa velocemente oltre.

Affaticamento emotivo di fronte alla sofferenza altrui?

«Le persone vanno semplicemente in una sorta di burn-out» affermava lo psicologo nell’articolo.

Una forma di superamento del limite oltre il quale una persona è andata oltre le sue possibilità di “empatizzare” con altri esseri umani.

Come ogni altra forma di eccesso, che causa una sorta di rifiuto del prodotto di cui si è abusato, l’esposizione alla sofferenza altrui può superare un limite oltre il quale ci si rifiuta di andare, di guardare o di sentire, e quindi si diventa totalmente indifferenti.

E se questa capacità di andare oltre si radicalizza nell’essere umano, ormai sovraesposto da troppe informazioni, l’empatia verrà sovrastata da una forma di apatia emotiva che renderà le persone non più coinvolte ed interessate ad essere solidali ed aiutare chi viene travolto da tragedie e disastri o , ancora peggio , verso persone o popolazioni che si trovano in condizioni di cronica sofferenza e che sono esposte a fenomeni di lunga durata, come il ripetersi di eventi naturali catastrofici o una lunga pandemia.

Se l’essere umano giunge al punto di accettare acriticamente e apaticamente tutte le tragedie che colpiscono i suoi simili, ritenendo erroneamente che queste capitino solamente agli altri, mostrandosi dunque indifferente ed  ignorando così tutte le contraddizioni della sua morale, allora la sua debolezza intellettuale non sarà più una eccezione, bensì una misera e condannabile  normalità.


Andrea De Leo