Il silenzio delle labbra cucite non è silenzio.


La cultura del “pensiero correttissimo” che dilaga ormai negli Stati Uniti e che rende i campus luoghi di censura e ipersensibilità, è stata riportata in primo piano dall’incidente di percorso della Commissione Europea alla Parità che, attraverso il documento “Linee guida per la comunicazione inclusiva” ha in qualche modo squalificato, a causa di una mancanza di buon senso e una certa approssimazione culturale, contenuti che ovviamente meritano la massima attenzione.

Cosa c’è nel documento?

Nelle 32 pagine di Linee guida, si affrontano i temi considerati più sensibili: c’è una parte relativa al linguaggio di genere, in cui si invita a preferire espressioni più neutre. Ad esempio, a meno di una preferenza esplicitata già dalla persona a cui ci si rivolge, evitare di usare “Miss o Mrs” e preferire “Dear colleagues”, “cari colleghi”, che in inglese non ha genere. Anche nel caso della disabilità i suggerimenti vanno nella direzione di non identificare la persona con la sua menomazione: non parlare di “disabili” ma di “persone con disabilità”. Allo stesso modo, per la diversità di culto : “Quando comunichiamo, potremmo inconsciamente ricadere nell’uso delle forme apprese nel linguaggio– si legge nel testo. Invece di seguire stereotipi dannosi, dobbiamo sforzarci e aprirci a un atteggiamento espansivo di connessione. Qualsiasi lingua che esprima intolleranza o giudizio verso un gruppo religioso, alimenta stereotipi”. 

Per la Commissione bisogna dunque “considerare la diversità di culture, stili di vita, religioni” in tutti i contesti realizzando una comunicazione che tenga conto dei diversi tipi di celebrazioni e rituali popolari in diverse parti dell’UE.

Come in tutti i capitoli, anche in quello relativo alla diversità religiosa vengono forniti suggerimenti: “Evitate di pensare che tutti siano cristiani. Non tutti celebrano le feste cristiane, siate sensibili al fatto che le persone seguono diverse religioni e calendari”. E ancora: “Negli esempi e nelle storie non usate nomi che siano tipici di un’unica religione”. Nelle raccomandazioni fornite viene suggerito di cambiare la frase “le feste di Natale possono essere stressanti” con “il periodo delle feste può essere stressante“. E così via..

L’Europa, e lo dicono i numeri, è sempre più culturalmente e demograficamente complessa. 450 milioni di abitanti, di cui 25 milioni sono cittadini di paesi extraeuropei e 4 milioni nati al di fuori dai confini dell’Unione stessa.

Una complessità culturale che la sta esponendo ai venti della “Woke Culture”.

Woke è sinonimo di “vigile allerta” nella lotta contro le “ingiustizie della maggioritaria e prepotente cultura dei maschi bianchi”, che penalizza gli afroamericani, le donne, le identità sessuali diverse da quelle biologiche e così via.

Negli ultimi due anni la Woke Culture è sbarcata in Gran Bretagna e in Francia, e da li sta prendendo piede un po’ ovunque.

In un contesto già indebolito dalla Brexit e dai sovranismi reazionari di alcuni paesi dell’est europeo, la Comunità Europea e gli stati membri dovranno fare appello alle migliori risorse culturali e politiche per contrastare un fenomeno che si presenta come l’inizio di un nuovo squadrismo culturale che rischia di diventare pericoloso.

Perché è pericolosa? Innanzi tutto perché tutti possono essere sottoposti ad una sorta di giudizio degli attivisti del movimento, che possono accusare una persona di discriminazione razziale, sociale e sessuale, partendo da pubblicazioni o libri, ma anche più semplicemente da mail, battute, o discussioni che avvengono anche durante incontri privati.

Una forma di sottile delazione in pratica.

La Woke Culture è una forma di censura morale e pubblica nei confronti di soggetti ritenuti colpevoli di idee e comportamenti disallineati da valori considerati progressisti e, in generale, politicamente corretti.

Una forma di censura che arriva a vietare in alcuni casi anche di poter esprimere pubblicamente idee non conformi alla pubblica opinione, non allineati al pensare comune, delegittimando coloro i quali non la pensano in maniera conforme alla massa, anche in maniera dialetticamente violenta, sui social o sui media tradizionali.

Nei casi più estremi gli ideologi della woke culture affermano l’inutilità della lettura di testi di autori non conformi ai canoni woke – è in questi casi è inevitabile il rimando alle lugubri immagini dei roghi dove i nazisti bruciavano i libri e i quadri di autori considerati decadenti e non conformi alle parole d’ordine della nuova Germania del Terzo Reich.

Una matrice comune, dunque, che ricorda quanto avvenuto agli albori delle ideologie totalitarie del secolo scorso è che si basa esattamente su questo: il rifiuto del dialogo e del confronto. 

La mancanza di un confronto con la diversità e la creatività nelle sue molteplici forme di espressione è la strada che ci conduce contro chi è diverso da noi, nei tempi, nei gusti, nelle passioni, e in generale nella cultura.

L’identità culturale, pur non essendo un dogma intangibile, è il punto di partenza per aprirsi comunque ad un confronto, e rimane il primo mattone per costruire il destino comune di una società che voglia proiettarsi nel futuro

Si tratta di un tema cruciale che invitiamo ad approfondire, perché le società umane stanno cambiando molto e molto velocemente, ad una velocità che non si era mai vista prima nella storia.

[Redazione Fuori]