Green Deal

Immagine generata dal sistema di AI DALL-E in base a delle Key Words estrapolate dall’articolo.

di Redazione Fuori Online

Nel settembre del 2021, il governo britannico ha annunciato piani ambiziosi per eliminare la vendita di auto a benzina e diesel entro il 2030 e l’eliminazione completa delle vendite di veicoli a combustione interna entro il 2035. L’obiettivo è quello di ridurre le emissioni di gas serra e la dipendenza dal petrolio, e promuovere l’adozione di veicoli a zero emissioni.

Sebbene l’adozione di auto a zero emissioni abbia chiaramente benefici ambientali, ci sono anche preoccupazioni riguardo alle conseguenze per l’occupazione. Il passaggio a veicoli elettrici potrebbe avere un impatto significativo sull’industria automobilistica e sui lavoratori che dipendono da essa.

Ad esempio, si prevede che la produzione di motori a combustione interna e parti correlate diminuirà drasticamente con l’aumento della domanda di auto elettriche. Questo potrebbe comportare la chiusura di alcune fabbriche, la riduzione dei posti di lavoro e la necessità di riqualificare i lavoratori per altri settori.

Tuttavia, ci sono anche opportunità di lavoro associate all’adozione di auto elettriche. La produzione di veicoli elettrici richiederà ancora la lavorazione di materiali, la progettazione e la costruzione di veicoli, l’installazione di infrastrutture di ricarica e la manutenzione e riparazione di veicoli elettrici. Inoltre, la tecnologia dell’auto elettrica richiederà nuove competenze e specializzazioni, come l’elettronica, la programmazione e la gestione delle batterie.

Per attenuare gli impatti negativi sul lavoro, è importante che i governi e le imprese agiscano prontamente per garantire che i lavoratori dell’industria automobilistica siano adeguatamente formati e qualificati per il futuro dell’industria. I governi dovrebbero anche considerare politiche di sostegno, come incentivi fiscali, sovvenzioni per la riqualificazione, programmi di formazione professionale e trasferimenti di competenze, per aiutare i lavoratori a far fronte alla transizione verso l’elettrificazione dei veicoli.

In definitiva, l’adozione di auto a zero emissioni rappresenta una sfida e un’opportunità per l’industria automobilistica e per l’occupazione. Tuttavia, con la giusta strategia e il sostegno adeguato, si può fare in modo che la transizione sia una vittoria per l’ambiente e per i lavoratori.




La vocazione di Orest [Dmytro Kozatskiy]

Foto di Dmytro Kozatskiy

di Redazione Fuori Online.

Il soldato-fotografo Dmytro Kozatskiy, che si fa chiamare “Orest” , è stato catturato dai russi e ha usato il suo profilo Twitter per congedarsi dal mondo.

“E’ fatta.Grazie di tutto dal rifugio di Azovstal. Luogo della mia vita, e della mia morte”.

A questo link tutte le foto che ha chiesto a chiunque di poter condividere.

https://drive.google.com/drive/mobile/folders/1efz3M_yHIJG6EYB57J9Di8V85MJco51I?usp=sharing




2 gradi in più.

di Redazione Online

Se credessimo in coloro i quali sostengono che esiste una soluzione semplice per intervenire sul cambiamento climatico e sulle drammatiche conseguenze che questo comporta, saremmo delle persone credulone e romantiche, tanto per citare una vecchia canzone.

Il livello di attenzione che si è creato negli ultimi anni su questa questione che definire vitale è un eufemismo, comporta in estrema sintesi l’adozione di comportamenti tali che possiamo ,in sintesi, definire in due macro azioni: o si sposa il concetto dal punto di vista ideologico, mettendo a tacere la coscienza o, ancora peggio, si nasconde la testa sotto la sabbia.

In realtà il cambiamento climatico è un argomento dannatamente complesso, ed è un problema, una sfida enorme, che non ha precedenti nella storia dell’umanità, perché la soluzione passa attraverso una serie di comportamenti e decisioni che interessano sia l’uomo della strada, che le politiche governative planetarie.

Il mondo in cui ci stiamo abituando a vivere è basato sull’uso di combustibili fossili. Le emissioni di gas serra sono al centro dei nostri sistemi produttivi e il risultato che ne deriva è responsabile del cambiamento climatico. 

E’ tutto collegato.

Salviamo il pianeta” è uno slogan talmente sfruttato che ormai non viene più percepito. Quasi come una pubblicità che passa in tv e che distrattamente sentiamo senza nemmeno più ascoltarla.

La buona notizia è che il Pianeta Terra, grazie al cielo, continuerà a girare intorno al sole anche per i prossimi centomila anni, a prescindere dalla temperatura che lo scalderà o lo raffredderà, e di questo ne siamo tutti consapevoli.

Ma come possiamo fare in modo che gli abitanti del nostro pianeta e gli ecosistemi che ne fanno parte siano in grado di adattarsi ai cambiamenti che stiamo producendo e quindi sopravvivere in futuro?

Per risolvere un problema, qualunque esso sia, la prima cosa da fare è riuscire a centrare la questione in modo corretto e porsi le domande giuste che aiutino a sviluppare ragionamenti che, in un secondo momento, sappiano poi indirizzarci verso la corretta soluzione.

L’approccio, per quanto ci riguarda, ed è fermamente il nostro punto di vista, deve per forza essere di tipo scientifico. 

Cosa significa ciò?

Significa fidarsi della scienza per fornire all’opinione pubblica e ai decision-making unit numeri concreti su cui ragionare. E subito dopo, bisogna creare le condizioni per far comprendere in maniera più chiara possibile questi dati spiegando, nella maniera più semplice possibile, i rischi che ne derivano se non si agisce per risolvere tali problemi.

Se “2 gradi in più” nella mente degli addetti ai lavori rappresenta un rischio serio, ma nella mente dei cittadini ciò vuol dire un maglione più leggero in autunno, allora vuol dire che abbiamo ancora tanta strada da percorrere.

Illustrare in maniera chiara senza troppi giri di parole qual è lo scenario al quale stiamo andando incontro, è un compito arduo soprattutto perché agli occhi di chi si deve impegnare per risolvere il problema, le decisioni sono da prendere immediatamente ma per un obiettivo i cui risultati non sono visibili in tempi brevi.

Il recente film “Don’t look up” ha saputo spiegare in maniera efficace cosa significa dover prendere decisioni difficili ad alto livello ma che non hanno un ritorno immediato in termini di popolarità. [n.d.r. Per chi non lo ha ancora visto, invitiamo “caldamente” a guardarlo].

Tornando a noi, per risolvere un problema sistemico e trasformarlo in una opportunità, la soluzione è quella di raccontare di un mondo futuro più sostenibile, più umano, e più rispettoso dell’ambiente e degli esseri che lo abitano.

Siccome, come dicevamo, non esiste una soluzione unica ma un insieme di azioni che, una volta indirizzate verso un obiettivo chiaro e facilmente comprensibile possono diventare una spinta costante e inarrestabile verso una filosofia diversa, una percezione della propria e altrui vita più giusta e corretta, allora si tratta di uscire dalla “non azione”, tirare fuori la testa dalla sabbia, e mettere in atto una serie di comportamenti e fatti che siano concreti e tangibili.

Lo sforzo è immane ma l’obiettivo primario almeno è chiaro: ridurre drasticamente le emissioni di gas a effetto serra, con determinazione e convinzione.

Non sarà un obiettivo a breve termine, e se non lo vogliamo fare per noi, almeno facciamolo per i nostri figli e le generazioni future.


La Redazione di FUORI invita a sostenere e divulgare Time for the Planet, società non profit creata nel 2019 da 6 imprenditori che hanno l’obiettivo di raccogliere 1 miliardo di euro per creare 100 imprese che agiranno contro il riscaldamento globale e i mutamenti climatici a livello mondiale.

Tutti possono diventare azionisti a partire da 1 €uro. Le aziende create hanno l’obbligo di rendere pubbliche tutte le loro innovazioni tramite l’open source e chiunque ha la possibilità di proporre un progetto a condizione che la sua finalità sia in linea con l’obiettivo di ridurre i gas serra su larga scala. I progetti vengono selezionati ogni trimestre da un Comitato scientifico che ne valuta la valenza e fattibilità e potenzialità di sviluppo.

Alla data di oggi ci sono più di 40.000 azionisti nel mondo e quasi 8 milioni di €uro raccolti.

Time for the Planet ha già creato, grazie a questi fondi raccolti, ben tre aziende attive nel contrastare i danni provocati dal cambiamento climatico.

Tutte le informazioni al seguente link