Un farabutto esistere.

di Carlo Marrone_

A Ischia, dove passo diversi mesi l’anno, naturalmente quelli che vanno dalla primavera all’autunno, c’è un piccolo ristorante che denuncia la propria particolarità già nel nome, “Cozze Anonime”, e che apre un solo giorno la settimana.

Anzi, non tutte le settimane: solo tre su quattro e solo nei mesi estivi e primaverili, quelli in cui vivo la stagione pure io.

A Marzo apre solo il tempo di far prendere aria ai locali rimasti chiusi di inverno, togliere la muffa ma, se è ispirato, e non è affatto detto che ciò accada, il proprietario decide di dar da mangiare a che ne faccia richiesta.

Non posso mettere una foto che lo mostri, perché il titolare me lo proibisce tassativamente.

Perfino a me, che sono ormai da anni il suo cliente preferito.

Non è una cosa irrilevante, perché si tratta del ristorante, dicono, più richiesto al mondo.

Mi spiego meglio: io, come cittadino onorario (quale mi sento) di questo piccolo paesino che si affaccia sul golfo di Napoli, valgo come uno zircone in una cesta di diamanti. Eppure, in questo ristorante, io arrivo senza prenotare mentre i proprietari degli Yatch che ormeggiano nel pontile di fronte, attendono mesi per ottenere la prenotazione, e spesso devono chiamare ad inizio primavera per assicurarsela.

Questo privilegio dipende dal fatto che ormai dieci anni fa, salvai il cane del proprietario del ristorante, che era caduto in acqua mentre abbaiava ad una barca che stava facendo manovra, rischiando di restare schiacciato tra banchina e scafo.

Il giorno dopo quel salvataggio, mentre ero al bar a prendermi il mio abituale caffè mattutino seduto al solito tavolino con vista sul mare, forse informato dell’evento della sera precedente, il titolare del ristorante venne a ringraziarmi.

Mi ero guadagnato l’eterna riconoscenza del titolare de “la cozza anonima”.

Luigi, è un uomo di circa 65 anni, pienotto, con la faccia butterata ed un sorriso indecifrabile. Mi ricorda Charles Bukowski . Non è quello che si dice un bell’uomo eppure, e non so come sia possibile, ha più fascino di molti altri che magari sono oggettivamente considerati belli.

La bellezza non ha misure o regole ferree, non è vero che sia oggettiva.

Il giorno in cui scrissi questo racconto, mi trovavo dunque seduto al ristorante, nel tavolo all’angolo che ormai era diventato quasi di mia esclusiva pertinenza, e stavo aspettando mi portassero il piatto che secondo me non ha eguali al mondo.

Una carbonara di mare con cozze, capesante, guanciale, ricotta salata e gamberi. Se venisse replicato da qualunque altro cuoco al mondo, sono sicuro che risulterebbe immangiabile.

Mentre mi gustavo il piatto, con un ottimo bicchiere di vino bianco freddo, naturalmente un Mamertino di Milazzo DOC, notai che l’uomo nel tavolino di fronte a me, veniva trattato con grande rispetto e un signore anziano gli stava facendo firmare una foto.

L’uomo, anziano anche lui, doveva essere stato una celebrità ma, onestamente, non riuscii subito a riconoscerlo.

Aveva i capelli lunghi e bianchi ed una barba dello stesso colore malcurata, anch’essa lunga.

Provai a guardare di sfuggita la foto sulla quale stava scrivendo la sua firma, risalente a quando era giovane. Poteva essere stata una rockstar, forse un chitarrista di una band inglese del periodo hippy, anche perchè nella foto che stava firmando, alle sue spalle, si notavano delle tribune di uno stadio.

La foto era così originale, anzi unica, da rimandarmi indietro con la memoria al punto di farmi ricordare il nome dell’uomo: Ezio Vendrame, giocatore di calcio negli anni 70, talento e indisciplina da vendere, uno dei primi dissacratori del sistema, un visionario.

Mentre visualizzavo le figurine che avevo collezionato e che lo ritraevano, non mi ero accorto che lo stavo fissando e, prima che potessi trovare qualcosa da dirgli, di solito sono banalità, si rivolse a me anticipandomi con un “noi due ci conosciamo forse? È stato un calciatore pure lei? “

No, gli risposi, ho giocato anche io a pallone ma come dilettante, ora più che altro mi piace scrivere. Scrivere di storie di uomini che possono aver lasciato un segno del loro passaggio. Possiamo bere un bicchiere insieme?

Il Campione mi avvicino una sedia come ad invitarmi, e io mi sedetti al suo tavolo.

Nella località dove mi trovavo, c’era un hotel frequentato da personaggi noti, attori, sportivi, anche politici molto importanti, spesso.

La mattina di quella giornata avevo avuto l’occasione di parlare con un regista famoso ed una attrice altrettanto nota, entrambi ospiti del festival del cinema che si teneva li ogni anno, ma sedermi vicino a Vendrame, per me era di gran lunga il momento più emozionante della giornata.

Ezio Vendrame era unico. Personalmente lo ritengo, insieme a Paolo Sollier, per la politica, e naturalmente Gianfranco Zigoni, considerato anch’egli un anomalia nel sistema calcistico dell’epoca, tra i pochi giocatori che per meriti non esclusivamente sportivi, hanno il diritto di restare nella storia di questo sport.

Anche Gigi Meroni, che andava in giro con una gallina, e la cui tragica morte forse lo ha aiutato ad entrare nel mito, non aveva lo stesso carisma e spessore di Vendrame.

La cultura sportiva, in Italia, e anche in alcune redazioni, manca completamente. Intendo dire la cultura vera, quella che al di là della disciplina sportiva specifica, riesce a raccontare storie di uomini che non sono passate inosservate e che anzi spesso vengono tramandate.

Superate le domande formali sul tempo e sullo stato di salute, cosa peraltro ipocrita e di cortesia, perché all’apparenza i suoi 73 anni non erano molto ben portati, gli chiesi se fosse vero l’episodio di quando giocava nel Vicenza e si rivolse ad un gruppo di tifosi rimproverando loro di osannare una persona che si limitava a giocare a calcio.

“ beh..oggi una dichiarazione del genere, nella superficialità ideologica che dilaga, verrebbe messa in risalto e avrebbe un sacco di consensi ma allora eravamo in un periodo quasi di guerra civile, con gli operai fuori dalle fabbriche e le Brigate Rosse che facevano propaganda all’interno delle stesse, ed io onestamente credo che la mia uscita in fondo era anche un po’ banale e qualunquista…! “

Erano gli anni Settanta, i primi, e personaggi così non ce n’ erano molti nel calcio: capelloni magari sì, estroversi pure, ma spregiudicati e spontanei anticonformisti no, non molti davvero. 

“Del calcio non mi fregava nulla neanche allora: le pressioni, l’ansia del risultato, le restrizioni alla vita privata, tutta roba che mi faceva schifo. Allora in campo mi inventavo qualcos’altro: era il mio modo per ripagare tutta quella gente che, chissà perché, mi veniva a guardare giocare”.

Un suo modo di sbeffeggiare quello che in fondo era il suo lavoro, era racchiuso in un gesto irriverente. A volte quando aveva il pallone tra i piedi, in una azione in cui la sua squadra stava attaccando, si fermava all’improvviso, saliva con entrambi i piedi sulla palla, e con la mano sopra la fronte a mo’ di vedetta, scrutava l’orizzonte.

“Era un modo per far capire che oltre al calcio, che era già allora era preso troppo sul serio, c’era dell’altro. Bisognava guardare oltre….“

Ma forse questo gesto era anche il suo trucco per esorcizzare qualcosa: una sorta di tensione interiore, una profonda sofferenza nell’ affrontare le domande della vita.

Ritiratosi a fine carriera in una frazione vicino al suo paese, Casarsa della Delizia, dove è sepolto Pier Paolo Pasolini, Vendrame rilasciò un giorno una intervistà a Gianni Minà, proprio sulla tomba del Regista e Poeta bolognese.

“ Minà voleva scusarsi di avermi fatto fare 250 km per una intervista che reputavo ignobile e mi propose di rimborsarmi la benzina. Ma io gli chiesi di raggiungermi al mio paese, Casarsa, al cimitero, dove gli avrei raccontato storie ed aneddoti. Gli dissi, “vieni che ti presento il mio compaesano più vivo di tutti, peccato che sia morto…”

Un altro poeta, e cantautore, Piero Ciampi, suo grande amico, ha rappresentato il suo legame con la scrittura e la poesia.

“A Piero devo tutto. Quello che so l’ho imparato da lui. La sua morte mi ha sconvolto, al punto che decisi di smettere di giocare e dedicarmi a coltivare l’anima “

Diventa egli stesso poeta, pubblica raccolte di versi, soprattutto ricordi. 

Il calcio è una cosa volgarissima, rispetto alla poesia “   mi dice prima di sorseggiare un po’ del vino che stiamo condividendo.

 “E da un bel po’ che sto male. Vorrei non pensarci, ma mi viene difficile non farlo. Me ne sto a casa, penso, rifletto, ogni tanto mi torna la voglia di scrivere, ma non sempre lo faccio. Esco poco ormai, fuori sono aumentate a dismisura le persone insopportabili. Il 23 dicembre mi barrico in casa e scrivo i miei versi. Riemergo all’Epifania perchè il peso delle Feste mi è insopportabile “.

Se mi mandi in tribuna, godo” e “Una vita in fuorigioco” sono due dei suoi libri, che in fondo possono essere considerati una summa della sua vita.

“ .. si, ma ne ho scritti anche altri, erano un copia incolla di ricordi, ma che funzionava”. 

Un elenco di racconti e verità, doping, partite truccate, sesso. 

“Durante un Padova- Udinese mi offrirono sette milioni per giocare male, senza sapere quante volte avevo fatto schifo gratis…durante quella partita segnai direttamente dal calcio d’angolo e mi soffiai il naso con la bandierina posizionata sul corner  ” ride, ricordando l’episodio.

Usa un linguaggio vietato ai minori che oggi sarebbe quanto meno, politicamente scorretto, come si (ab)usa dire.

«Ma sono le parole del calcio: i giocatori sono ragazzi, spesso ignoranti e maleducati, e non sono leccati e precisini come li vedete in tv. Non facciamo gli ipocriti». 

Una istigazione all’autoerotismo…

“ Ragazzi, buttate nel cesso le vostre playstation e rinchiudetevi nei bagni con un giornaletto giusto in bella vista. Quando uscite, innamoratevi di una bella figliola: il sesso fai da te è bello, ma quello con una coetanea è meglio ..”


Comprensibile che la comunità rumoreggi, che parroci e curati non gradiscano.

La ricca e benpensante provincia del Nordest, non sopporta che i propri figli amino un beat, un reperto archeologico del Sessantotto.

Per sopravvivere e pagarsi l’affitto “ la proprietà è un furto ”  mi dice,  riprendendo uno slogan tanto caro negli anni ‘70, allena i giovani della Sanvitese.

 “ il padre di un ragazzo che allenavo, mise un assegno in bianco in mano al presidente della Sanvitese: metti tu la cifra, basta che licenzi quel matto. “

Proposta respinta.

Boniperti disse che con la sua testa avrei giocato in nazionale , ma io in nazionale ci gioco da sempre, perché da sempre io faccio quello che voglio, senza permettere a nessuno di poter vivere la mia vita ..io, discepolo di me stesso, arrogante, presuntuoso, vanitoso, asociale, masochista, egoista, e dunque libero ”. 

La vita di Vendrame è fatta di amori maledetti, sofferti, passionali. Erotismo crudo a volte crudele. Paura della morte e della vecchiaia. Una tendenza a mettersi in discussione insopprimibile, anche se dolorosa, feroce.

Perché lo ha fatto? Perché non si è accontentato di tenere per sé tutto questo? 

“Perché sento di vivere in un mondo in cui faccio fatica a stare, e forse scrivere è anche un modo per sentirmi meno isolato” 

Parole, pensieri, poesie di un settantacinquenne che ha vissuto, e non certo soltanto di calcio: l’unico grande protagonista della sua storia tenuto al di fuori, emarginato, come una parentesi insignificante dentro un racconto di cose più serie.

 “Qui a Casarsa si sono dimenticati di Pasolini, si figuri se potevano ricordarsi di me… ”.

Una testimonianza straordinaria, dalla viva voce di un campione degli anni epici: avevo persino la testa che mi girava, e non credo che dipendesse solo dal vino.

Lo ringraziai e lo abbracciai. 

Avevo un appuntamento per il quale ero già in ritardo, e dovevo andarmene con una certa fretta. 

Imboccata l’uscita, mi girai per guardarlo un ultimo istante. 

Non c’era.

Non c’era nemmeno la foto autografata sul tavolino; la foto con cui avevo condiviso il mio bicchiere di vino in una fantasiosa chiacchierata che, a guardar bene, non aveva avuto alcun bisogno di essere reale.

Ho conosciuto Ezio Vendrame tuffandomi nei racconti appassionati di tutti i cronisti che lo hanno ricordato negli anni successivi alla sua carriera.

Le risposte qui sopra risalgono ai video e alle interviste da lui rilasciate negli anni, e che ho potuto recuperare attraverso il web.

Il mio bicchiere di Mamertino, però, l’avevo bevuto da solo, come solo avevo camminato lungo il mare per arrivare al ristorante dove sedevo e scrivevo questo pezzo.

Di quel ristorante in cui si mangiano cozze e ricotta, la porta è ormai murata da decenni, da prima che io nascessi. 

Perché chi scrive in continuazione lo fa per sfuggire alla solitudine, pur non riuscendo a fare a meno di essa.

Ezio Vendrame è morto nell’aprile del 2020.

Io non l’ho mai incontrato. 

Eppure, sento di averlo conosciuto.

Note sull’autore.

Carlo Marrone è stato un professionista del content marketing di una piattaforma di vendita inbound che aiuta le aziende ad attrarre visitatori, convertire lead ed è specializzato in closing. In precedenza, Marrone ha lavorato come direttore marketing per una startup di software tech. E’ esperto di Business Administration e Scrittura Creativa. Nato a Vicenza, dove ha passato la sua gioventù, si è trasferito a Milano dove ha vissuto e lavorato fino al 2010. Oggi vive tra Ischia, Napoli e, raramente, Milano.

Appassionato di football, ama scrivere soprattutto di persone e delle loro storie.