Perché oggi dilagano le teorie “complottiste”?

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di Redazione Fuori Online

Ci sono molte ragioni per cui le teorie del complotto stanno diventando sempre più diffuse in molti paesi del mondo.

Alcune di queste ragioni includono:

Diffusione delle informazioni: Grazie alle tecnologie digitali e ai social media, le informazioni possono essere condivise rapidamente e facilmente. Questo può portare alla diffusione di teorie del complotto e false informazioni, spesso senza alcuna verifica o verifica dei fatti.

Diffidenza verso le istituzioni: In molte parti del mondo, le persone hanno perso la fiducia nelle istituzioni e nei media tradizionali. Questa diffidenza può portare le persone a cercare spiegazioni alternative per gli eventi, spesso abbracciando teorie del complotto.

Incertezza e paura: In periodi di incertezza e paura, come ad esempio durante una pandemia o una crisi economica, le persone possono cercare di trovare spiegazioni semplici per i problemi complessi. Le teorie del complotto offrono una spiegazione semplice, anche se spesso inaffidabile, per gli eventi.

Credenze personali e ideologie: Le persone possono essere influenzate dalle loro credenze personali e dalle loro ideologie politiche o religiose, spesso cercando di adattare gli eventi alla loro visione del mondo. In alcuni casi, questo può portare all’accettazione di teorie del complotto.

Tuttavia, è importante ricordare che le teorie del complotto non sono supportate da prove concrete e spesso danneggiano la società e la fiducia nelle istituzioni.

È importante mantenere un atteggiamento critico nei confronti delle informazioni e delle fonti, cercando sempre di verificare la loro affidabilità prima di accettarle.




La vocazione di Orest [Dmytro Kozatskiy]

Foto di Dmytro Kozatskiy

di Redazione Fuori Online.

Il soldato-fotografo Dmytro Kozatskiy, che si fa chiamare “Orest” , è stato catturato dai russi e ha usato il suo profilo Twitter per congedarsi dal mondo.

“E’ fatta.Grazie di tutto dal rifugio di Azovstal. Luogo della mia vita, e della mia morte”.

A questo link tutte le foto che ha chiesto a chiunque di poter condividere.

https://drive.google.com/drive/mobile/folders/1efz3M_yHIJG6EYB57J9Di8V85MJco51I?usp=sharing




La Valigia.

di Valeria Frascatore_

Guardo la valigia. 

Non sono mai stata brava a organizzare gli spazi. I pieni e i vuoti, soprattutto. Amo le cose fatte alla rinfusa. 

Ci sto dentro, nel groviglio: occuparmi della matassa dei pensieri è il mio catalogo di viaggio da spulciare.

Consapevolezza di un andare che resti e restituisca il senso dello spostamento dal proprio baricentro.

Intendo provarci.

Sperimentare. 

Parto, sì. Perché il pensiero ha bisogno di estensione verso la chiarezza, come il passo si allunga naturalmente in direzione di spazi ampi. E sgombri.

Libertà da ingombri. Dicono sia un obiettivo eleggibile per chi vuole scrivere una storia che non obbedisca a logiche precostituite.

Non riesco a pensarmi confinata in un’idea lineare: cammino a zig-zag per il mondo e vivo di equilibrismi appesi a un filo di voce.

Il megafono lo lascio agli specialisti del rumore. Preferisco che sia un serrato bisbiglio a preannunciare il mio arrivo.

Quante volte, sull’orlo del baratro, gridare e ridere a precipizio mi ha salvato la vita, permettendomi di silenziare il frastuono delle allusioni insensate.

Ho imparato ad amarlo, il silenzio. Riempiendolo di tremiti e di vibrazioni che mi arrivano forti, quando mi capitano sfioramenti di pelle. Di quelli che producono energie indefinibili con il metro umano.

Io spezzo i discorsi con le mani quando non riesco a prendere a morsi la durezza della vita, interrompo la catena dell’ovvio e mi perdo alla ricerca di curiosi indizi, disseminati tra gli scomparti.

Sto mezza aperta e mezza chiusa, abbarbicata a una cerniera rotta da cui sbucano sbuffi e saluti. 

Il bagaglio è ancora lì. Sbilenco, più di sempre.

Ostaggio di chiaroscuri, nel livido ombreggiare di una tenda scossa dal vento che ne camuffa le pieghe: pronta  per affrontare il cammino io non lo sono stata mai. 

Ma arriva un momento in cui rispondere a un’esigenza diventa imperativo categorico, è vera e propria terapia per l’anima. Aria buona per rinfocolare il cervello.

Coltivo il desiderio di capi leggeri, di indossare morbidamente le inquietudini. Me le lascio scivolare addosso senza imporre alcuna destinazione: seta per il cuore, velluto per la mente, broccato per il corpo. 

Rotola dal comodino una biglia di vetro colorato. Si strazia su e giù per il pavimento, inciampando in me e nella mia indecisione. È alla deriva, in un mare di destinazioni possibili.

Ne osservo il moto convulso e ascolto il fruscio che genera il suo sfregamento sul parquet. Mi imbambolo mentre pesco dai cassetti e frugo alla ricerca di frammenti, di ricordi da trascinare via.

Mi chino a raccogliere la biglia e la faccio ruotare sul palmo della mano: il rumore è diverso. Sono cambiati i pensieri. Io non sono più io.

Mi frugo nelle tasche piene di ipotesi ardite: so che sarò altro da me, al rientro. Un percorso mi aspetta mentre rifletto su come aspettarlo.

Non temo il vicolo cieco, lungo il quale si cammina a passo d’uomo: mi fa più paura l’autostrada della bestialità dalla vista perfetta, tripla chance di corsia dove se non sorpassi e vai a velocità costante, rischi di bruciare il motore o di rimanere asfaltato.

Penso che se dovesse ospitarmi un treno, lo spingerò via dal binario morto, se sarà un aereo volerà anche con un’ala sola e a piedi camminerò con una scarpa sì e una no: un viaggio viaggia da sé, anche così. 

Non serve pianificare, serve volere fortemente uno slittamento di asticella in alto. Una lieve traslazione di parabola verso un esito dai contorni più definiti.

Ho deciso che i tabù sono fatti per essere infranti e anche noi siamo fatti per disintegrarci tra amori folli e legami ruvidi, figli di bagagli semi disfatti.

Stropicciati, ci sparpagliamo nell’aria quando il vento vuole disperderci e ci ricomponiamo magicamente come puzzle perfetti quando, placato il suo impeto, finalmente la natura si riposa. 

Nella mia valigia ho chiuso il disagio della fissità di uno schema, un’educazione fredda e rigida come il marmo di questo pavimento che, ormai, ondeggia sotto i miei piedi portandomi dritta al mare, tra flutti e spruzzi da cui ho capito che è inutile ripararsi.

Mi mancherà tutto di questi luoghi, mi mancherà chi mi ha fatto compagnia abitandoli con me, mi mancherà la me che li ha vissuti col desiderio di renderli animati e parlanti. I luoghi siamo noi, permeati di luce e di emozioni vive e vere, che li attraversiamo rendendoli indimenticabili per la mente e per l’anima.

Sto fissando la valigia. La guardo prendere forma e plasmarsi, rinnovata nel turgore. Il tessuto è finalmente teso, senza grinze e pieghe: tutto ha una collocazione e anche i pieni fanno pace coi vuoti.

Ho scoperto che non ho un biglietto. Ho solo un invito a raggiungere il molo. E un disegno. Raffigura una imbarcazione a vela, candida come il cielo, quando si addensa di nuvole che precedono la tempesta. Ha un timone di legno, imponente e lucido. Dicono che la barca sia affidata a una donna esperta ma volubile che non ama i tentennamenti. Chi decide di salpare non ha modo di cambiare idea. Si affida. Come, a volte, capita anche nella vita.

Mi sono affidata tanto nella vita. Ho assecondato, ho accontentato ed elargito senza mai tenere niente per me. Il mio cuore lo sa e ha pagato più volte dazio per questo.

Ora basta. Ora c’è una nave che salpa. E io ho la valigia giusta per questo viaggio. E sono la donna giusta per affrontarlo con la consapevolezza della fruttuosità e dell’arricchimento che da tale esperienza mi deriverà.

Porto con me un taccuino, una penna e il mio pc. Poche cose che significano tanto, tutto per me.

Parto per un viaggio lungo come il mio bisogno di ritrovarmi, dentro e fuori.

Ne parlerò, ne scriverò, lo racconterò senza filtri.

E so che sarà bellissimo.


Valeria Frascatore_

Ho 47 anni. Coniugata, due figli. Sono un ex avvocato civilista, da sempre appassionata di scrittura. Sono autodidatta, non avendo mai seguito alcun corso specifico sulla materia. Il mio interesse é assolutamente innato, complici – forse – il piacere per le letture, la curiosità e la particolare proprietà di linguaggio che,sin dall’infanzia, hanno caratterizzato il mio percorso di vita. Ho da poco pubblicato il mio primo romanzo breve dal titolo:Il social-consiglio in outfit da Bianconiglio. Per me è assolutamente terapeutico alimentare la passione per tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura. Trovo affascinante l’arte della parola (scritta e parlata) e la considero una chiave di comunicazione fondamentale di cui non bisognerebbe mai perdere di vista il significato, profondo e speciale. Credo fortemente nell’impatto emotivo dello scrivere che mi consente di mettermi in ascolto di me stessa e relazionarmi con gli altri in una modalità che ha davvero un non so che di magico.




L’acqua del lago non è mai dolce – Giulia Caminito

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Credits_Sophie Jodoin
di Sara Balzotti_

Data di pubblicazione: 13 gennaio 2021

Casa editrice: Bompiani

Genere: narrativa 

“L’acqua del lago non è mai dolce” ti assorbe e ti immerge nella storia… il romanzo richiama sensazioni ed episodi della propria infanzia e adolescenza, addolciti da una sottile malinconia e nostalgia per il tempo passato; anche se gli episodi personali non hanno niente a che vedere con quelli raccontati, l’intimità che si crea con il lettore richiama alla memoria tali emozioni.

È inevitabile tifare per i più fragili, commuoversi per le ingiustizie che colpiscono i protagonisti della storia e soffrire per l’anaffettività della famiglia della protagonista.

Si tifa per i più fragili, ci si commuove per le ingiustizie subite dai protagonisti e si soffre per la mancata accoglienza familiare verso i familiari della protagonista.

Gaia racconta in prima persona la sua storia: l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. La sua famiglia è sorretta dalla madre, Adriana. Adriana è una donna di umili origini ma di grande carattere, volitiva e battagliera per la sua famiglia; la donna non transige sul rispetto delle cose comuni e la sua lealtà nei confronti degli altri rappresenta uno dei pochi pilastri educativi offerti ai figli.

Nella famiglia di Gaia o si accettano le regole e le condizioni dettate da Adriana o si deve andare via di casa. Le condizioni economiche sono precarie e la priorità è sopravvivere, sotto tutti i punti di vista.

Nonostante le varie difficoltà, economiche e sociali, Gaia riesce a condurre una vita piuttosto tranquilla: vive al riparo della protezione della madre, seguendone i dettami e uniformandosi al suo volere senza, all’apparenza, venirne schiacciata.

Il fratello maggiore, Mariano, è il suo riferimento.

Quando il fratello però andrà via di casa, la sua mancanza sarà forte e Gaia deciderà di crescere e di affrontare da sola gli eventi che le capiteranno.

La donna che diventerà sarà decisamente diversa dalle aspettative della madre.

In una società che corre e che si evolve in fretta le mancanze, economiche e morali, della famiglia di Gaia si faranno sentire e la ragazza farà sempre più fatica a gestire le proprie emozioni, con ripercussioni a volte importanti sui rapporti sociali.

La storia è ambientata nel paese di Anguillara Sabazia e sul Lago di Bracciano. Le dinamiche popolari ricordano equilibri che forse non torneranno più; equilibri sociali che nella frenesia odierna ci siamo dimenticati e tradizioni tramandate che affascinano e commuovono sempre.

“L’acqua del lago non è mai dolce” racconta una storia cruda e coinvolgente. La scrittura di Giulia Caminito non annoia mai e durante la lettura la curiosità per come si evolveranno gli eventi cresce pagina dopo pagina!



Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/




Rosa stacca la spina – Igor Nogarotto

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Casa editrice: Effedi edizioni

Data di pubblicazione: 15 gennaio 2022

Genere: narrativa


“Rosa stacca la spina” ripercorre la storia di una grande storia d’amore fra due persone molto diverse fra loro, le cui differenze non rappresentano un limite ma una risorsa.

Questa potente storia viene bruscamente interrotta da Rosa, che lascia Igor senza spiegazioni e solo nella sua disperazione.

Igor narra in prima persona gli episodi e le emozioni nati in questo legame così intenso quando, dopo undici anni, Rosa lo contatterà di nuovo perché ricoverata in una clinica in fin di vita. Sarà arrivato il momento delle risposte così tanto desiderato dal compagno?

La storia viene ripercorsa dal narratore con delicatezza e nel profondo rispetto dei sentimenti provati reciprocamente e dell’attuale condizione dell’ex compagna. Nel romanzo non viene mai forzata la narrazione, nemmeno riguardo ai momenti di intimità della coppia, dove l’affiatamento trova pieno compimento. Del resto forzare la mano risulterebbe inopportuno perché la spontaneità e la genuinità di questo legame parlano da sole.

In un periodo della nostra vita probabilmente un amore così travolgente è stato vissuto da molti di noi e, nel caso sia finito, i motivi e le conseguenze di tale interruzione sono molto personali ma sicuramente la grandezza del dolore e l’impegno necessario per superare il “lutto” del distacco sono stati immensi. La coppia aveva provato a costruire una famiglia e sarebbe stato bello vedere se, e come, il suo legame sarebbe cambiato.

Igor Nogarotto è molto delicato nel dar voce al narratore, Igor, e la simpatia e ironia sono le seconde caratteristiche di questo romanzo così struggente.

Il punto di vista maschile è molto tenero ed è veramente dolce la lettura del rapporto fornita dall’anima perduta d’amore del narratore (Igor stesso).

È vero che l’amore, quello vero, riesce a superare ogni barriera?

P.s. l’espressione “Napoleone!” dovremo imparare un pò tutti ad usarla…!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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Edenya – Laura Rizzoglio

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Casa editrice: Youcanprint

Data di pubblicazione: 01 ottobre 2020

Genere: fantasy


Ogni tanto è proprio bello fare un viaggio nella fantasia ed “Edenya” non delude le aspettative!

La storia, fantasy, si adatta bene a tutti i tipi di lettori: adolescenti e adulti che hanno voglia di sognare un pò.

Qual è la differenza fra Arcangeli, Cherubini, Serafini, Troni? Quali sono le loro origini e come si rapportano con il mondo terrestre?

Edenya è un mondo extraterrestre che invoglia il lettore ad esplorarlo; colori stupefacenti e forme di vita sconosciute lo popolano, alimentandone il fascino. Questo straordinario mondo potrebbe davvero avvicinarsi all’idea che abbiamo del Paradiso.

Angelica, un Arcangelo, ha deciso di amare Christian, un umano, e di infrangere le leggi del suo popolo.

A quali conseguenze andranno incontro la coppia?

La storia è ben articolata e i protagonisti sono svariati ma le giovani adolescenti Clara e Anna saranno coloro che porteranno avanti gli eventi del romanzo.

Clara è sola al mondo e ha la possibilità di studiare in un prestigioso college grazie ai sussidi offerti da un protettore sconosciuto; la ragazza non riesce ad integrarsi nella scuola e a trovare l’accoglienza e la comprensione dei compagni e degli adulti. L’unica sua ancora di salvezza è rappresentata dal misterioso prof. Profsky.

Anna è una ragazza solare che da un momento all’altro irrompe nella vita di Clara; anch’essa nuova studentessa del prestigioso collegio. Anna sarà una vera scoperta per Clara!

Quali segreti nasconde Profsky? Le stranezze di Clara a che cosa si riconducono? Come si svilupperà il rapporto fra le due nuove amiche?

Ci saranno delle missioni da compiere e dei pericoli da evitare: quali sorprese dovranno affrontare le due ragazze?

Laura Rizzoglio ha dedicato questa storia fantasy a sua figlia e ai suoi fantastici quattordici anni e l’amore con la quale ha creato ed elaborato “Edenya” è tangibile e profondo.

Il ritmo della storia è sempre molto alto e il coinvolgimento è inevitabile e assicurato!

Misteri, intrighi e intrecci, suspense si alternano senza essere mai banali cosicché il lettore riesce ad immergersi nel racconto e a rimanerne legato.

Sono sempre stata affascinata dalla figura dell’angelo (ovvero dell’arcangelo) e come me credo anche tante altre persone. La loro identità è avvolta nel mistero e ancora oggi non si sa se siano realmente presenti fra noi.

Edenya saprà dare le giuste risposte?

Buon viaggio nella fantasia a tutti!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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L’AMOREVOLE CAREZZA DELLA PIENA COMPRENSIONE

Photo by Gregory Acs

di Valeria Frascatore_

E’ già da un po’ che siedo su questo divano:è pacioccosamente morbido e io ci sono affondata, abbandonandomi a una posa rilassante tra enormi cuscini, disposti a corolla intorno a me.

A testa in giù e con le gambe all’aria, giusto per rimodulare il senso delle proporzioni e conferire dignità superiore a tutto quello che, compresi i miei arti, è collocato in una dimensione di piena inferiorità.

Come calice di quella corolla, accolgo pensieri, sensazioni, fardelli che dondolano, cullati dalla lieve brezza che filtra dalla finestra spalancata sul cielo di un anonimo e banale mansardato urbano. Li abbraccio e mi abbraccio, aspettando l’arrivo di un’inattesa impollinazione che faccia sussultare il fiore, chiamandolo a nuova vita.

Un raggio di sole, impavido, battagliando con il plumbeo ardore di un cielo ancora tipicamente invernale, raggiunge la stanza posandomisi sulla caviglia nuda e svela la mia abitudine di gironzolare per lo più scalza, con i pantaloni leggermente scostati dalla parte terminale della gamba. Reagisco così io, opponendo un senso di libertà al rigore della temperatura come alla rigidità in generale, la mia…quella altrui: combatto gli assalti del giudizio e mi lascio fissare da mille occhi incuriositi dalla posa che, in questo momento, ho assunto.

Mi metto a braccia conserte, come sempre quando sto per cominciare a parlare e devo raccogliere le idee: mi rivolgo al mio interlocutore che, avidamente, mi gironzola intorno, nel tentativo di partecipare al banchetto e di assaggiare a morsi le diverse, succulente pietanze disposte tutt’intorno.

Penso improvvisamente alle mie caviglie e all’idea che anche quelle possano essere addentate, nella confusione mangereccia, divoratrice di anime e di identità.

In questa vorace dimensione di appetiti umani, la mia fame di attenzione vaga, confusa, da una parte all’altra della stanza e zampetta tra gli arredi prima di scivolare,crepitando, tra le fiamme della legna che arde nel caminetto.

Sono esattamente al centro di un vortice d’aria in cui si incontrano due mondi: il vento proveniente dall’esterno e il tepore del fuoco acceso. Si congiungono,come amanti resi impazienti da un desiderio ingestibile,e in mezzo ci sono io a fare da conduttore di elettricità, in una atmosfera che si fa sempre più trascinante.

Le mie confessioni ora si fanno più spontanee e serrate, prendono il ritmo della carnalità del congiungersi senza troppi ragionamenti all’uditorio.

Ho gli occhi chiusi e distinguo soltanto profumi: sono invoglianti, ma il pensiero che mi distolgano dal fiume di parole che sto per pronunciare mi sprona a dar loro voce, senza più indugio.

Parole scontate, banali e istintivamente semplici si liberano: mi ascolto nel pronunciarle e mi agito in maniera convulsa per acciuffarle a mani nude e ricacciarle indietro, convinta che siano quelle sbagliate. Figlie di un fraintendimento, mi svolazzano intorno prendendosi gioco di me in un folle e frastornante maramao. Le prendo a cuscinate e la corolla del fiore si spampana.

I petali, sparpagliatisi tra le pieghe del candido divano, disegnano una mappa. Spalanco gli occhi e la osservo, quasi a cercare risposte degne di ascolto e di fiducia. La direzione…cerco solo la direzione…della piena comprensione e ora mi proteggo il viso con le mani.

Se riceverò una carezza o uno schiaffo lo ignoro. Ma temo allo stesso modo ambedue le prospettive. Quegli occhi famelici vogliono che io mi riveli, vogliono sapere di più e frugano alla ricerca di tutto quello che sono convinti gli stia dolosamente negando.

Sulla mappa leggo parole d’afflizione amorosa che vagano tra i petali della corolla ricomponendone il disegno naturale, la finestra si spalanca e la luce si sposta sul mio viso che non è più protetto, esaltandone i lineamenti corrucciati dall’imbarazzo.

Vorrei unirmi al banchetto divoratore di emozioni e prendere a morsi i cibi invoglianti, far rumore, dare fastidio, ronzare all’infinito nelle orecchie degli astanti, come un qualsiasi insetto scocciante.

Punzecchiare qua e là, assaggiare e volar via quasi senza posarmi. Non si può. Non è la cosa giusta per me. Essere parte attiva di questo baccanale è il messaggio veicolato dalla mappa. Non si sono proprio accorti di me, non mi stavano guardando…avrei potuto trascorrere ore qui sdraiata,nella più totale indifferenza.

C’è una solitudine schermata, incompresa che mi fa parlare e mi abilita ai ceffoni. La creo, la costruisco, c’è anche ora…qui…su questo divano,dove la nudità dell’anima,che andrebbe accarezzata,viene umiliata e derisa.

Gli occhi di chi la giudica sono sempre limpidi e spietati, i miei sono imploranti e velati di inquietudine.

Parlaci di te, parlaci di questa personalità tormentata e indegna di carezze. Scrivi dei tuoi cedimenti, delle tue cadute e di quando ti nascondi dietro a una metafora come un animale in fuga si rifugia tra i cespugli del bosco intricato di congetture e arditi costrutti mentali.

Vuoi scappare, vuoi sottrarti anche stavolta?E dove fuggirai senza aver rivelato pressochè nulla di te?

Guardati, affrontala questa realtà, fatti violenza e accettati, con tutti i tuoi limiti e i tuoi disagi. Smetti di osservarla la mappa,perché ti sta depistando:strappala,anzi,e gettala tra le fiamme del camino, in modo che alimenti altro da te.

Mi sono alzata dal divano, con uno scatto felino e furioso, ho afferrato il cappotto e sono scesa in strada. Non sopportavo più la pressione. La avvertivo sulla pelle, incalzante come quelle voci che mi inducevano a strapparmi via la maschera.

Nel percorrere a piedi la rampa di scale pregustavo una breve fuga, un momento di riappacificazione da un tormento interiore fattosi troppo lungo e snervante.

La piazza sotto casa era stranamente affollata: si stava svolgendo uno spettacolo di sbandieratori. L’atmosfera era quella della festa, quella di cui magari,a volte, neppure ci si accorge,quando si è in preda a un incessante rimuginio di pensieri.

Nell’aria si sollevavano, a ritmo del suono dei tamburi, tessuti di ogni foggia e colore:mi sono confusa in quel crogiolo di umanità festante e,mentre ero con il naso all’insù, ho improvvisamente scorto in lontananza un volto amico che stava con il naso all’insù come me.

Un incrocio di sguardi di pochi secondi, a distanza,e senza neppure gesticolare.

Un’intesa intensa, nata da un sorriso schietto e immediato, che è arrivato a illuminarci il volto mentre il cielo si abbandonava, lasciandosi solcare da un tripudio di bandiere svolazzanti, distese, come i lineamenti dei nostri volti, esposti al vento della piazza gremita.

Nel dispiegarci reciprocamente attraverso quei sorrisi, finalmente l’ho sentita scorrermi sul viso, quell’amorevole carezza di una comprensione piena.

E’ arrivata nel frullio della stoffa di una bandiera volata più in alto delle altre, in un punto del cielo in cui il giudizio, l’equivoco e la distorsione non possono arrivare. Dove solo un gesto genuinamente gentile scioglie i volti contratti dall’alterigia e dalla paura di comprendersi.

E’ stato allora che ho capito che davanti a una carezza si resta, non si fugge.


Valeria Frascatore_

Ho 47 anni. Coniugata, due figli. Sono un ex avvocato civilista, da sempre appassionata di scrittura. Sono autodidatta, non avendo mai seguito alcun corso specifico sulla materia. Il mio interesse é assolutamente innato, complici – forse – il piacere per le letture, la curiosità e la particolare proprietà di linguaggio che,sin dall’infanzia, hanno caratterizzato il mio percorso di vita. Ho da poco pubblicato il mio primo romanzo breve dal titolo:Il social-consiglio in outfit da Bianconiglio. Per me è assolutamente terapeutico alimentare la passione per tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura. Trovo affascinante l’arte della parola (scritta e parlata) e la considero una chiave di comunicazione fondamentale di cui non bisognerebbe mai perdere di vista il significato, profondo e speciale. Credo fortemente nell’impatto emotivo dello scrivere che mi consente di mettermi in ascolto di me stessa e relazionarmi con gli altri in una modalità che ha davvero un non so che di magico.




Il richiamo del dirupo – Mìcol Mei

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Il richiamo del dirupo – Mìcol Mei

Casa editrice: Miraggi Edizioni 

Data di pubblicazione: 15 luglio 2021

Genere: narrativa 


“Il richiamo del dirupo” ricostruisce le dinamiche che hanno portato al crollo del “Pallido rifugio”, edificio molto particolare costruito in stile vittoriano a picco sul mare dal proprietario Felice Hernandez.

Felice, così come la sua villa, sono molto misteriosi e chissà quali storie nascondono…

Gli abitanti del piccolo villaggio, a valle della scogliera sulla quale si erigeva “Il Pallido Rifugio”, in effetti si chiedevano come fosse stato possibile progettare una casa così fragile, all’apparenza, dal punto di vista strutturale e architettonico. 

La signora Siviero è l’unica testimone a “mettere la faccia” sulle dichiarazioni riguardanti il crollo e il lettore le sarà grato. Gli altri testimoni non hanno voluto rivelare la loro identità ma viene apprezzato il contributo offerto alla ricostruzione dei fatti.

Il Signore Felice Hernandez decidere di dare in affitto la propria villa a quattro persone che saranno accuratamente selezionate da lui stesso. Felice non offre una normale villeggiatura: l’annuncio sarà altisonante e chi si mostrerà interessato dovrà dichiarare perché è così interessato a soggiornare nella villa, alle particolari condizioni imposte da Hernandez.

Gli ospiti saranno scelti e l’impeccabile Signora Siviero sarà a capo di questa insolita comitiva, garantendo il rispetto dei voleri del proprietario.

Persone sconosciute possono trovarsi unite per svariate ragioni e quelle dei quattro protagonisti, gradualmente, vengono svelate e sono tutte riconducibili ad un disagio nel rapporto con se stessi e di conseguenza con gli altri.

Emarginazione, sfruttamento, violenza, sottomissione si riconoscono nelle storie degli ospiti, e Hernandez aveva percepito che cosa avrebbe accomunato i futuri ospiti nel Pallido Rifugio.

La selezione fatta sarà azzeccata? Gli ospiti riusciranno a conoscere Felice, così sfuggente?

Ma soprattutto: perché il Pallido Rifugio è crollato? Qualcuno sarà riuscito a salvarsi?

La disperazione, la solitudine e il dolore non hanno bisogno di tante parole per essere raccontate e in un libro dalla lunghezza piuttosto ridotta (come numero di pagine) la scrittrice racconta con schiettezza fin dove può scendere l’animo umano, trasmettendone il turbamento che ne deriva. Alla fine quando si tocca il fondo, le conseguenze sono spesso simili: emarginazione e decadimento mentale.

I colpi di scena offerti dalla storia sono interessanti e la passione di Mìcol Mei per tutte le forme culturali è tangibile. Poesia e scrittura si fondono senza scontrarsi e rafforzano l’armonia del romanzo. I riferimenti musicali aiutano a contestualizzare il racconto.

“Il richiamo del dirupo” non ha l’intenzione di richiamare emozioni piacevoli e per me non è stato facile affrontarle, nel mio percorso incessante di ricerca della serenità.

Tuttavia ho voluto leggerlo fino alla fine perché anche il buio fa parte di noi e ogni tanto è giusto affrontarlo e ricordarsi che a tutto può essere posto una fine (in un modo o nell’altro).


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

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Siamo fatti di luce e di ombre.

Foto dell’Autore.

di Valeria Frascatore_

Una voce affatturante mi ha chiamato e ora permea la mia decisione di far ritorno al faro.

L’ho evocata e, dunque, la seguo lungo un sentiero di acciottolato stabile che rende saldo il pensiero come il passo e che, ben presto, mi conduce a una gittata di cemento ingannevole, come quella voce, che, da suadente che era, d’improvviso si fa tenebrosamente perniciosa. L’ultimo tratto è sterrato, sa di dissuasione o comunque di messa alla prova. Non so se il senso sia rotolare a precipizio o muoversi con saggia circospezione, ma l’andatura si fa lenta e pesante,mentre la voce si ode sempre più flebilmente,come un eco disperso dal vento.

Il promontorio è desolatamente vuoto, sferzato dalle procelle della vita, la vegetazione è brulla, arsa dalle mareggiate invernali. Sale che cicatrizza le fenditure della roccia come si fa con le ferite.

E’ quasi l’ora del tramonto: tutto è fermo, come in un ineluttabile frame scorporato.

Mi guardo intorno, alzo gli occhi e la vedo:lassù, eterea e inibente,occupa la sommità del faro.

Era sua la voce quella che mi ha condotto qui.

Gli sguardi si incrociano, sfidanti e selvatici, implacabili scuotono l’inconsistente struttura metallica che vibra maledettamente ad ogni occhiata.

Il faro è dismesso:noi no. Il duello è infuriante e sprigiona elettricità che sembra turbinare in spire nella mia direzione, attraverso i pioli delle scale di accesso alla luce rotante.

Non c’è dialogo, né comunicazione verbale alcuna ma la gestualità è incontrovertibilmente tesa al confronto.

Il Sole rende incandescente il cielo e il suo bagliore, proiettato sulle vetrate del faro, quasi mi acceca. Sospendo i pensieri ma non mi muovo, socchiudo le palpebre, sperando di ritrovarla nella sua posizione originaria, una volta riaperti gli occhi.

Mi guardo intorno e non c’è, non la vedo più, il tramonto incombe e la terra sussulta sotto i miei piedi. Nel silenzio persistente, il mio grido furibondo si libera e mi solleva vorticosamente nell’aria, proiettandomi in cima al faro.

La prospettiva di un gemellaggio celeste esorcizza la condanna alla fosca irrequietudine di una schermaglia terrena che chiede con prepotenza di essere composta.

Ora sono io che invoco il suo nome e, d’un tratto, la ritrovo seduta accanto a me:distoglie lo sguardo…ha l’aria di una viaggiatrice sconnessa ma conserva un tratto flessuosamente regale.

Le nostre menti sono altrove, ma comunicano persino nella solitudine della lanterna spenta di un faro inattivo.

Legami alienanti trovano conforto nell’instabilità di un luogo alienato e infondono reciproca remissività ai nostri sguardi, non più torvi: interrogativi, forse, curiosi ma sereni.

Le tendo la mano ma avverto tensione:ci temiamo e non abbassiamo le difese. Ha il viso stravolto, lo sguardo metallico e gli occhi gonfi di pianto…lo percepisco ma non riesco a sostenerne la vista. Sono visibilmente scossa anch’io.

Quando la scia del Sole tramontato in mare raggiunge lo specchio d’acqua sotto i nostri piedi, con un filo di voce le dico:”Sono venuta a prenderti. Vieni via con me!”.

La osservo con minuziosa attenzione stavolta, si alza in piedi e, quasi fluttuando verso il precipizio sottostante, si volta furtivamente nella mia direzione per poi lasciarsi cadere nel vuoto. La sua corporeità si sparpaglia come polvere dorata ricadendo delicatamente a pelo d’acqua e confondendosi con la scia del tramonto.

Due delfini, assecondando la corrente, la guidano verso un punto di consunzione, impossibile da determinare a vista.

Sul mio viso solcato da lacrime cocenti più del Sole è rimasto impresso il ricordo di quello spazio vuoto, compagno di brevi scambi sulla sommità del faro.

Chi era, Lei?

La vera e sola me o un’altra me?L’abbaglio di un Sole ingannatore o il sogno furtivo di una alleanza nata da una guerra?

Non lo so, ma da quel giorno ho preso il suo posto al faro e attendo, con cieca ostinazione, di poterne udire ancora una volta la voce, di ricongiungermi a lei e di proseguire un dialogo scandito dall’intermittenza della luce rotante attraverso la quale sarebbe bello entrare e uscire dalle vite altrui senza far rumore.

Intermittenti ma presenti, proprio come i fari. In fondo siamo fatti di luce e di ombre. Tutto quello che il futuro riserva, solo il faro può saperlo:resta annoverato tra i suoi più insondabili segreti.


Valeria Frascatore_

Ho 47 anni. Coniugata, due figli. Sono un ex avvocato civilista, da sempre appassionata di scrittura. Sono autodidatta, non avendo mai seguito alcun corso specifico sulla materia. Il mio interesse é assolutamente innato, complici – forse – il piacere per le letture, la curiosità e la particolare proprietà di linguaggio che,sin dall’infanzia, hanno caratterizzato il mio percorso di vita. Ho da poco pubblicato il mio primo romanzo breve dal titolo:Il social-consiglio in outfit da Bianconiglio. Per me è assolutamente terapeutico alimentare la passione per tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura. Trovo affascinante l’arte della parola (scritta e parlata) e la considero una chiave di comunicazione fondamentale di cui non bisognerebbe mai perdere di vista il significato, profondo e speciale. Credo fortemente nell’impatto emotivo dello scrivere che mi consente di mettermi in ascolto di me stessa e relazionarmi con gli altri in una modalità che ha davvero un non so che di magico.




Tre Giorni.

Guido Crepax_Valentina.

di Ludovica D’Alessandro_

È strano come possa consumarmi in tre giorni.

Io sono il tempo.

Passo da un battito di ciglia ad un eterno mugolio che si estingue sulla punta della lingua di amanti di passaggio su queste strade spianate.

Ho visto macchine con il motore in panne tagliarmi come schegge, uomini d’onore scappare come criminali senza scrupoli, donne d’amore aspettare in silenzio che fosse quello il loro tempo.

Il tempo di tre giorni.
Tre per sapere che mi stavi ingannando e tre per rinnamorarmi di te.

Serena amò Marco sempre e solo per tre giorni. Tre giorni per capire che Marco non l’amava ma l’avrebbe forse fatto ad Hayeres, sulla costa francese.

Una giulietta rossa, una targa provvisoria, affittata per un breve periodo, le dita doppie di Marco sul cambio e l’altra mano in mezzo alle gambe di Serena che sorridendo guardava fuori dal finestrino.

Serena aveva affidato, tanti anni prima, la sua vita al caso.

Cosa le fosse stato destinato non le era ancora chiaro ma aveva la presunzione di essere speciale.

Indossava un pantalone di jeans chiaro, un paio di zoccoli marroni con delle piccole borchie e una maglietta all’uncinetto, tinta corda.

Non indossava il reggiseno, ne la cintura.

I pantaloni restavano sempre scostati dalla vita di uno spazio equivalente ad una mano.

Quella che avrebbe lasciato passare Marco tra il jeans e la sua pelle abbronzata.


Ludovica D’Alessandro nasce a Napoli nel 1984.
All’età di 12 inizia a soffrire di disturbi del comportamento alimentare. Nonostante il peso della malattia si trasferisce a Londra e successivamente a Milano dove vive e lavora attualmente. Il suo genere di scrittura è crudo e graffiante come un pugno nello stomaco.
Fa della ricerca della bellezza dell’essere umano una missione ma senza spaventarsi di scavare nei meandri dell’animo.