Solo gli amanti sopravvivono.

“Solo gli amanti sorpravvivono”_ immagine tratta dal film di Kim Jarmusch

La [non] recensione di Cristiana Caserta_

Le tre grandi crisi degli anni duemila – terrorismo, crisi finanziaria, pandemia – hanno indotto un generale ripiegamento sui bisogni elementari: fisiologici, di sicurezza, di appartenenza. E hanno ulteriormente appiattito l’orizzonte ad un presente infinito, al quale costringiamo i nostri corpi negando loro l’invecchiamento e le nostre anime consumando e scartando come mode anche le idee.

Se ‘vita’ è bellezza, conoscenza, verità, pienezza ecco che siamo – senza saperlo – ‘morti’. Zombie. Esseri distruttori e autodistruttori. Un modo diverso di riflettere sull’autodistruzione e sulla salvezza – se non avete gradito Don’t look up, o anche se lo avete gradito – è quello di Jim Jarmusch. Il film è di diversi anni fa, ma è quanto mai attuale: Solo gli amanti sopravvivono. (Only Lovers Left Alive, 2013)

Gli amanti sono Adam ed Eve, a cui prestano volti e corpi – bellissimi, senza tempo, sensuali – Tilda Swinton e Tom Hiddleston. Lei vive a Tangeri, fra i libri e l’arte. Lui a Detroit, fra le chitarre e la musica. Hanno vissuto per molti secoli, conosciuto pittori e poeti, musicisti e scienziati. Sono vampiri. E si amano. Di un amore senza storia. Si amano di un amore delicato e profondo: lei luminosa, quasi abbagliante, e pronta a cogliere la bellezza – anche in un mondo che l’ha perduta – lui più inquieto e cupo ed esitante sul vivere o morire. 

Parlano, si amano, ballano, si baciano come se ogni bacio, ogni danza, ogni parola fosse fuori dal tempo, assoluta, prima e ultima, come forse è stata all’inizio dei tempi, prima dell’umanità. Le stelle, la poesia, il destino delle città, i silenzi riempiono le loro conversazioni e la freschezza della sera in cui essi necessariamente vivono si riverbera sui loro sentimenti e sui loro sguardi e li colma di bellezza e malinconia, pur sullo sfondo di una Detroit deserta e dozzinale, brutta e logora.

Sono vampiri che hanno imparato a resistere al richiamo brutale e primitivo del sangue cercato con la violenza: si nutrono di sangue ‘pulito’ che dottori e ricercatori lautamente ricompensati producono per loro. Con parsimonia e moderazione. E con rispetto per la vita degli zombie, che invece così miserevolmente la sprecano. 

Ed ecco che tocca ai vampiri ricordarci che cosa è propriamente ‘vivere’: prendersi cura l’uno dell’altra con rispetto e gentilezza, regalarsi, nutrire di amore e comprensione profonda ogni piccolo gesto, comunicare in tutti i modi possibili, col tatto, con la musica – che accompagna ogni momento del film – con il corpo, con la parola. 

Lunare, notturno, poetico. È il mondo che gli amanti – solo gli amanti – possono ritagliare per sé nell’inconsistenza rumorosa e arrogante della post-modernità, mortifera e distruttrice. Scampoli di una natura sfregiata lo popolano insieme ai resti del passato – fotografie, oggetti, abiti, storie e ricordi – come relitti dopo un naufragio: levigati dal tempo e addolciti dal tocco lieve e stupito di Eve, che ‘nomina’ e riconosce con gratitudine ogni essere vivente che incontra, fosse un fungo o una puzzola. E conservati con cura ansiosa da Adam.

Ma anche i vampiri devono ad un certo punto scegliere fra sopravvivenza e vita: costretti a scappare per la sventatezza della avida e incontrollabile sorella di lei, Ava, i due amanti restano privi di nutrimento e scoprono anch’essi la fame e la sete da cui si erano tenuti lontano. 

L’amore per il genere umano, per la musica, per la bellezza, domina il finale in cui il vecchio archetipo del vampiro viene piegato ad un significato del tutto inedito, di positività e fiducia.


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; 

Scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale.