Non è mai una persona sola a morire. Ad ogni sparo, moriamo tutti, un pò.

David D’Amore_China su Carta

di Redazione Fuori

Gli Stati Uniti hanno il non invidiabile primato, tra i Paesi occidentali, di morti per arma da fuoco. 

Nel 2020 si è raggiunto il numero più elevato di vittime, 578, il che significa più di una al giorno.

La crescita, rispetto agli anni precedenti, è stata esponenziale [Negli Stati Uniti circolano circa 380 milioni di armi a fronte di una popolazione di 319 milioni di abitanti].

Sono dati di cui i politici statunitensi sono al corrente, ovviamente, eppure puntualmente ad ogni strage di innocenti come quella dei giorni scorsi, si riaccende il dibattito sull’uso indiscriminato delle armi, accessibili praticamente a chiunque.

Dibattito che, come era facile prevedere, non riesce mai a fare passi in avanti, nonostante la situazione ed i numeri siano drammatici.

Biden, così come aveva fatto Obama prima di lui, e un po’ meno aveva fatto Trump, si è presentato davanti alla nazione per reclamare una limitazione del commercio e detenzione delle armi.

Dichiarazione scontata, diremmo formale, che ha ottenuto meno risonanza ed efficacia di quella del coach dei Golden State Warriors, Steve Kerr, che durante la conferenza stampa antecedente una partita ha denunciato in maniera chiare ed inequivocabile le ragioni per le quali oggi, come ieri, la legge per la riduzione dell’uso delle armi da fuoco, sia ferma a causa di interessi economici e politici.

Quali sono in effetti i motivi? 

La Costituzione americana, le sentenze della magistratura, e soprattutto il peso delle lobby sono i fattori che fino a oggi hanno sbarrato la strada a ogni tentativo di «disarmo».

Il secondo emendamento della Costituzione americana consente ai privati cittadini di possedere armi. “Essendo necessaria alla sicurezza di uno stato libero una ben organizzata milizia”, recita testualmente la legge, “il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”.

Una roccaforte inespugnabile  dunque, protetta da una legge fondamentale che funge da pietra angolare della Costituzione americana, e che scaturisce dalle guerre di indipendenza contro britannici e spagnoli.

Qualsiasi tentativo di intervenire su questa, che più che una legge è una filosofia propria dei cittadini americani, è risultato vano.

Nel 2008, una sentenza della Suprema Corte ha ribadito la piena legittimità del secondo emendamento, dichiarando illegittima una legge di uno Stato membro, che cercava di limitare il possesso e l’uso delle armi.

Nel 1994 Bill Clinton approvò una legge (poi abolita nel 2004) che proibiva il commercio di armi da guerra per uso privato, ma l’anno successivo i democratici persero le elezioni di Midterm anche a causa di questa iniziativa, che ostacolava l’azione delle potentissime Lobby favorevoli alle armi.

Nel 2012, dopo la strage di Sandy Hook (26 morti) Barack Obama tornò a chiedere una limitazione ma la proposta non passò.

( Il massacro di Sandy Hook però segnò un precedente di storica rilevanza: per la prima volta una fabbrica di armi accettò di risarcire le vittime della sparatoria , versando 73 milioni di dollari alle 9 famiglie che le avevano fatto causa).

E oggi? Alla luce della ennesima strage di innocenti bambini , quante possibilità ci sono che una riforma della legge vada in porto? 

I numeri sembrano non dare speranze.

Il Senato, dove i democratici possono contare sul 50% dei voti, resta un ostacolo insormontabile.

Per modificare una legge serve almeno il 60% dei voti e dunque il 10% dei repubblicani, storicamente contrari all’abolizione, dovrebbero votare contro il loro stesso partito. 

Scenario impossibile perché un peso determinante nel settore del commercio delle armi è esercitato dalla NRA, la lobby dei produttori, che finanzia e supporta molti senatori e politici repubblicani.


https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/05/25/strage-in-una-scuola-elementare-a-uvalda-in-texas-21-morti-_e20dd8bf-8a99-407b-aba2-05d97e240ae2.html