Eppure basterebbe guardarsi negli occhi.

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di Valeria Frascatore_

Quella che stiamo vivendo è sempre più l’era delle statistiche, del calcolo delle probabilità, della valutazione degli obiettivi produttivi raggiunti, della corsa smaniosa alla quadratura dei bilanci.

A ben pensarci, però, i numeri non ci mettono in affanno, almeno non quanto le parole.

I primi li trovi ma non li cerchi, le seconde le cerchi ma non le trovi.

E, se non trovi le parole, c’è la rete Internet: non sia mai che si possa attingere alla libreria di casa propria e sfogliare un’enciclopedia…che so, un Lessico Universale Italiano, un buon dizionario, qualcosa di cartaceo che, solo a maneggiarlo, ti prenda il piacere per la vetustà di cose d’altri tempi.

In ogni caso, non è mai sprecato il tempo che dedichiamo a soppesare le parole, a calibrarle perché vadano a segno senza esondare, in senso positivo o negativo.

Ma c’è un tempo, parimenti prezioso, che nessun orologio tende più a misurare:è il tempo che dedichiamo a guardare gli altri negli occhi.

L’abbiamo decisamente trascurata, ma esiste una forma di comunicazione legata a tutto ciò che è istinto ferino, riconoscibilità immediata tra individui insita in un guizzo dello sguardo: tutto questo non potrà mai essere soppiantato da uno schermo, da un video, da un’interazione mediata da dispositivi elettronici.

Ci sta sfuggendo di mano il contatto con la parte emotiva delle relazioni, che poi è quella profondamente motiva del vivere:non ci guardiamo più dritti in faccia, l’uno con l’altro.

Come se ci portassimo costantemente sul groppone un sottile senso di colpevolezza rispetto alla violazione di chissà quale standard di comportamento ottimale:una specie di eterno confronto con “Il saper vivere di Donna Letizia”, testo la cui lettura, un tempo, si consigliava come breviario delle buone maniere.

La logica dell’evitarsi si sta pericolosamente facendo strada dentro e fuori di noi al punto che, a volte, non riusciamo neppure a ricordare dettagli identificativi dei volti delle persone del nostro diretto entourage familiare: un neo, una macchia discromica della pelle, una vecchia cicatrice.

E,invece, ogni singolo viso potrebbe parlarci di un’armonia tra sguardo e mimica, di un’essenza che appartiene a quel soggetto e solo a lui nelle espressioni che fa quando parla, nelle piccole smorfie e nelle involontarie contrazioni della muscolatura che, in ciascuno di noi, dicono molto più dei gesti.

D’altra parte c’è chi, dalla mimica facciale e del collo di una persona che canta, è in grado di stabilire se quest’ultima stia usando correttamente il diaframma (oppure stia cantando di naso) e se stia sfruttando al meglio le proprie corde vocali.

Guardarsi negli occhi significa soprattutto mettersi a nudo davanti all’altro, richiede coraggio e sgomenta molto più dell’essere semplicemente svestiti.

Certo, a volte è proprio difficile sostenere determinati tipi di sguardi, senza alterare la rettilineità della comunicazione visiva, perché più sentiamo affini le persone che abbiamo di fronte, meno riusciamo a gestirne l’invasività. Tendiamo ad abbassare la testa, abituati a pensare che quello che vogliamo trasmettere possa arrecare fastidio, noia…non sia degno di interesse.

E non parliamo di quando non riusciamo a guardare l’altro dritto in faccia perché ci vergogniamo e sappiamo di aver commesso qualche birbanteria!

In linea generale scappiamo, scappiamo sempre quando arriva il momento del “redde rationem” ma siamo come quei buffissimi personaggi di alcuni cartoni animati che insabbiano la testa e, non accorgendosi di essere rimasti esposti al pericolo con il resto del corpo, pensano di averla fatta franca.

E allora ci ritroviamo, con lo sguardo basso e riluttante, a cercare rifugio nel cellulare. Lì, mal che vada, vediamo riflessi noi stessi e,comunque, non dobbiamo temere il giudizio o l’indagine volta ad una ricerca, che ci riguardi da vicino, della verità a tutti i costi.

Già…la verità. Quale?Quanta?

La verità è fatta di sfumature e, guardarsi negli occhi, consente di coglierle tutte, quelle sfumature.

Perciò, incrociamo gli sguardi, non lasciamoci sfuggire l’occasione di un incontro e di un’occhiata, anche fugace, in cui ritrovare il piacere della socialità e della comunicazione legata al linguaggio del corpo.

E basta pure con quell’asettico:«Prendiamoci un caffè...», «Andiamo a prenderci un aperitivo…», «Facciamoci una pizza…» come se, solo davanti al cibo oppure a una bevanda, riuscissimo a togliere il freno alle nostre più profonde ritrosie.

Addio ai gesti meccanici, privi di slancio e di passionalità.

Credo sia arrivato il momento di parlare guardandosi negli occhi. Senza mezzi termini, senza se e senza ma.

Se poi non aveste voglia di parlare, lasciate liberi i vostri sguardi di posarsi ovunque sia possibile ragionare, comunicare, esprimersi. Mettetevi in gioco:non abbiate paura di un diniego.

E troverete sempre altri due occhi, o anche di più se siete fortunati, pronti a restituirvi tutto ciò che desiderate. A quel punto perdersi o ritrovarsi non avrà importanza, purchè siate appagati e felici di aver sperimentato un incontro di anime.

Troppi involucri senza contenuto, troppi sacchi vuoti, troppa gratuita fatuità in questo nostro, incasinato mondo.

Un pensiero del genere,però,non deve generare rabbia o delusione:piuttosto,ogni tanto,spegniamo i cellulari,abbassiamo la guardia e lasciamo solo che gli occhi parlino di noi e per noi!

Ci sarà sempre qualcosa da dirsi.


Valeria Frascatore_

Ho 47 anni. Coniugata, due figli. Sono un ex avvocato civilista, da sempre appassionata di scrittura. Sono autodidatta, non avendo mai seguito alcun corso specifico sulla materia. Il mio interesse é assolutamente innato, complici – forse – il piacere per le letture, la curiosità e la particolare proprietà di linguaggio che,sin dall’infanzia, hanno caratterizzato il mio percorso di vita. Ho da poco pubblicato il mio primo romanzo breve dal titolo:Il social-consiglio in outfit da Bianconiglio. Per me è assolutamente terapeutico alimentare la passione per tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura. Trovo affascinante l’arte della parola (scritta e parlata) e la considero una chiave di comunicazione fondamentale di cui non bisognerebbe mai perdere di vista il significato, profondo e speciale. Credo fortemente nell’impatto emotivo dello scrivere che mi consente di mettermi in ascolto di me stessa e relazionarmi con gli altri in una modalità che ha davvero un non so che di magico.

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