Ma allora, chi sono gli Eroi?

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di Christian Lezzi,

“Mi viene da pensare che non sono tanto gli uomini i guardiani delle greggi, ma le greggi guardiani degli uomini, perché quelle sono molto più libere di questi”.

(Henry David Thoreau).

È passato quasi un mese, da quando ho scritto quell’articolo link e, ancora, sento che qualcosa è rimasto inespresso. In quell’articolo parlavo del concetto usurpato e, spesso abusato, di eroismo. In quelle righe analizzavo ciò che, secondo il mio modo di vedere le cose, non dovrebbe rientrare nella definizione di atto eroico ma, piuttosto, sarebbe da classificare secondo la nobilissima definizione di gesto agito per senso del dovere, di abnegazione al bene altrui, di dedizione a ciò che è giusto, secondo parametri di altruismo e generosità più o meno universali.

Stesso discorso per un gesto avventato e occasionale, agito per senso d’appartenenza, incoscienza, esibizionismo, mancanza di alternative. Mille etichette applicabili, ma non quella di Eroe e, di conseguenza, di atto eroico. 

Ho ricevuto molte interazioni, a seguito di quella pubblicazione e, una in particolare, ha calamitato i miei pensieri, attraendo la mia attenzione ancora oggi, a distanza di settimane.

Ma allora, chi sono gli eroi?

Ho dato molto peso alla domanda, nel corso dei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo e, proprio perché la considero importante, ci ho molto riflettuto. È grazie a quella domanda ( e ad un video di Roberto Saviano che mi ha ispirato) se ho deciso di parlare di Walter Bevilacqua, per suggerire un esempio di ciò che ritengo comportamento eroico, di colui che, secondo me, merita l’appellativo di Eroe.

Perché gli eroi esistono, ma sono rari come i più puri dei diamanti e, spesso, si nascondono ai clamori della notorietà.

Walter era un uomo di 68 anni, un pastore della Val d’Ossola, un vecchio alpino, una penna nera nata e cresciuta a pochi passi dal confine, tra una transumanza e un alpeggio estivo. 

Nulla di particolarmente eroico, fin qui…

Cammin di vita facendo, un triste giorno, Walter si ammala di una grave patologia renale e, tra visite e farmaci, inizia il calvario della dialisi. Le sue condizioni non migliorano e viene iscritto alla lista d’attesa per il trapianto, unica soluzione prospettata dai medici che lo hanno in cura. Passano i giorni, con loro i mesi e, la vita di Walter, per forza di cose, continua, tra terapie, lavoro e acciacchi vari, più o meno come sempre, sperando ben poco in quella soluzione chirurgica, unico orizzonte possibile a difesa della sua stessa vita.

Era un uomo solo e solitario, Walter, cresciuto dal nonno Camillo, dal quale aveva imparato a non risparmiarsi mai, vissuto tra i monti, con le sue pecore che, nel tempo, erano diventate la sua unica famiglia (eccezion fatta per le sorelle Mirta e Iside), il suo gregge naturale. E aveva imparato molto da quel gregge, che non è solo omologazione o imitazione, sinonimo di cieca e sciocca obbedienza, per questo usato spesso come esempio negativo efficace. Un gregge, Walter lo sapeva bene, è anche stare insieme per difendersi, uniti e compatti, per sopportare i rischi e i conflitti, per superare insieme le asperità della vita, per supportarsi a vicenda.

Friedrich Nietzsche ha scritto: “Il piacere di essere gregge è più antico del piacere di essere io: e finché la buona coscienza si chiama gregge, solo la cattiva coscienza dice: io.”

C’è molta nobiltà anche in un gregge di pecore, se solo ci sforziamo di guardarlo da un’altra angolazione, scevra dagli annosi stereotipi e secondo un diverso paradigma. Ma noi umani, ormai incapaci di fare quadrato e di essere gregge, secondo l’alta e solidale accezione, propensi a essere folla (che del gregge è la versione peggiore) forse lo abbiamo dimenticato.

Ma torniamo a Walter.

Un gran lavoratore il nostro pastore, innamorato delle sue montagne, appassionato di agricoltura e molto legato ai suoi animali. Del resto, erano il suo mondo e si dice di lui che non abbia mai fatto un giorno di vacanza dalle sue attività, mai un’assenza, mai una lamentela. Ma forse sono cose che si dicono ai funerali. 

Non importa, non è questo che rende speciale Walter Bevilacqua.

Nell’attesa del trapianto, l’uomo inizia a pensare che forse, quel rene, debba andare ad altri, a chi lo merita di più, a chi ha una famiglia a cui pensare, un gregge umano di cui occuparsi, al contrario di lui che non deve occuparsi d’altri che non siano il suo gregge di pecore. Un pensiero sempre più presente, nella mente del pastore, che gli toglie il sonno, gli lascia il tormento e gli spegne il sorriso, per la paura di portare via, l’ultima opportunità, a chi ritiene più meritevole di lui, a chi quel rene ha più motivi desiderarlo. Per ottenerlo.  Almeno secondo la sua personale etica e la sua soggettiva – in questo caso indiscutibile – morale. 

Se mai arriverà, quel rene. E se mai si troverà, in esso, la piena compatibilità.

Quel momento arriva, portando con sé il turno di Walter. È il momento della speranza, quella concreta, che ha una data e una procedura. Il rene si trova e la compatibilità biologica è tale, da permettere il trapianto che salverà la vita al vecchio alpino ossolano.

Citando Roberto Saviano, “la realtà si muove per paura, per interesse, per piacere, per necessità”. Ma non quella di Walter, che si muove verso l’altro, a tutela di altre vite, forse più importanti e meritevoli della propria, per altruismo e per spirito di sacrificio.

Per spirito di gregge.

Walter ha deciso. Non accetta di vivere, se questo implica consegnare a morte certa un’altra persona. Non toglierà la speranza a chi, restando in vita, potrà dare a sua volta vita ad altre persone. No, non farà quel trapianto. Lascerà il rene a chi è dietro di lui, nella lista dell’eterna e lancinante attesa. Lo lascerà a chi è più giovane, a chi ha una famiglia, a chi ha moglie e figli di cui occuparsi, a chi ha ancora speranze, ancora un futuro.

Walter rifiuta il rene e, con un gesto d’immensa umanità e di infinita solidarietà, tanto forte quanto silenzioso, pregno di quello schivo pudore che solo il vero eroe sa avere, dona la sua stessa vita a un’altra persona, a qualcuno che ritiene, secondo il suo insindacabile giudizio, più bisognoso e meritevole di lui. 

Non per istinto, ma per ragionamento e per libera scelta.

Inevitabilmente, con il passare del tempo, le sue condizioni si aggravano e, durante la dialisi cui settimanalmente si sottopone, presso l’ospedale San Biagio di Domodossola, il suo immenso cuore cede. La sua bara sarà portata a spalla dagli alpini della sezione di Varzo, i suoi amici di sempre, tra le lacrime delle sorelle e il ricordo che, di lui, fa il parroco del paese, Don Fausto Frigerio.

Proprio a Don Fausto, Walter aveva confessato, parlando della sua drammatica decisione: “C’è chi ha più bisogno di me. Sono in molti che aspettano quest’occasione. Persone che hanno famiglia, che hanno più diritto di vivere di me. È giusto così” e questa frase, questo modo di pensare agli altri, prima che a se stesso, la dice lunga sulla filosofia di vita di Walter Bevilacqua.

Personalmente non so dire se, al suo posto, avrei agito allo stesso modo e forse, accantonate le ipocrisie e i “machismi” del caso, nessuno di noi può sinceramente rispondere a cotanta domanda. 

Lui lo ha fatto e tanto basta.

Era un contadino Walter, un pastore, un alpino, un uomo d’altri tempi, di montagna e di frontiera, un fratello per qualcuno, un amico per altri. Ed è soprattutto un Eroe, lui sì, questa volta al presente, perché gli Eroi, quelli veri, quelli lontani dalla retorica patinata e dalle facili ipocrisie, quelli dotati di una straordinaria umanità, donando la propria vita, vivono per sempre.


Nota sull’Autore_

Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano. Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.

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